Frequenze tv, il pasticcio italiano della banda 700 MHz

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Tanto per cambiare in Italia si prefigura all’orizzonte l’ennesimo pasticcio sulle frequenze tv.

Questa volta le preziose porzioni di spettro elettromagnetico, quello intorno ai 700 MHz del valore di miliardi di euro, sono richieste insistentemente dall’Europa per assegnarle all’uso della banda larga mobile di prossima generazione (il 5G), come è già accaduto per la banda 800 MHz.

In Germania l’asta per queste frequenze, dopo 181 round, ha recentemente fruttato allo stato tedesco oltre 5 miliardi di euro. A luglio sarà la volta della Francia che ha ufficializzato il passaggio accelerato dei 700 MHz alle telco entro il 2019 e conta di ricavarci 2,1 miliardi.

E in Italia? Il governo italiano, che non ancora chiuso la grana sulle frequenze tv interferenti con paesi esteri e confinati (con lo sfratto di centinaia di emittenti locali da 72 multiplex del digitale terrestre), dovrà varare un nuovo Piano entro il 2020, altrimenti saranno guai e pensati sanzioni.

La partita della nuova liberazione delle frequenze si è fatta però complicata per via di un regalo alle tv risalente al governo Monti (2012), scrive Alessandro Longo su L’Espresso. L’esecutivo Monti, insediato direttamente dalle direttive europee dopo il flop dell’ex Cavaliere, ha consegnato alle emittenti tv una strana assegnazione ventennale di quelle frequenze.

All’epoca la scelta fu molto contestata: «Lo Stato si troverà costretto a risarcimenti ingenti alle tv, in cambio di quelle frequenze da dare in asta», disse Paolo Gentiloni (Pd, ora ministro degli Esteri). È quanto infatti lo Stato ha fatto nell’asta precedente, per la rete mobile 4G. Con una differenza: allora i rimborsi riguardavano solo emittenti locali; adesso c’è in gioco Mediaset.

Tre multiplex delle dodici frequenze del dtt che, secondo le indicazioni europee, vanno liberate a favore della banda larga mobile, sono infatti del gruppo che fa capo alla Fininvest di Silvio Berlusconi. Si sale a quattro se si aggiunge quella di DFree posseduta dall’imprenditore tunisino Tarak Ben Ammar, utilizzata sempre da Mediaset.

In questi giorni il dossier è finito nelle mani dei due soggetti competenti: l’Agcom e il Ministero dello Sviluppo economico. «Con il ministero abbiamo cominciato a lavorare per costituire il primo comitato sulla futura asta 700 MHz», spiega Antonio Nicita, il solo commissario Agcom a essere stato scelto dal Pd.

I valori in gioco sono potenzialmente elevati. Nella precedente asta per la rete mobile (800 MHz), l’Italia ha ricavato 3,9 miliardi di euro. «Ma quelle nuove sono le più preziose fra tutte quelle finora bandite», dice Mario Frullone, direttore delle ricerche presso la Fondazione Ugo Bordoni, braccio tecnico del ministero dello Sviluppo.

Secondo fonti di Palazzo Chigi, l’altro premier non eletto Matteo Renzi vuole ridurre al minimo i ritardi rispetto agli altri due Paesi europei e sta valutando un’asta già nel 2016. Per l’Europa le frequenze vanno liberate tra il 2018 e il 2022 ma i governi possono effettuare le gare anche prima. Uno dei motivi che suggerirebbero un’accelerazione è la prossima unione tra Wind e 3 Italia, che ridurrà il numero di contendenti e – per il gioco dei rilanci – i possibili introiti dello Stato. Né del resto si può attendere troppo per liberare le frequenze dalle tv perché «se lo faranno tutti i nostri vicini, causeremmo interferenze alle loro reti mobili e rischieremmo una procedura d’infrazione dall’Europa», spiega Antonio Sassano, docente alla Sapienza e tra i massimi esperti del tema.

La domanda adesso è come liberare quella porzione di banda radio, senza causare rimborsi miliardari a carico dello Stato. Un’opportunità viene dal passaggio al nuovo standard del digitale terrestre (il DVB-T2), la cui maggior efficienza permette di avere gli stessi canali su un numero minore di frequenze. Lo Stato potrebbe quindi riprendersi le eccedenti.

Nicita e Frullone dubitano però che basti, poiché nel frattempo gli attuali canali diventeranno più esosi in termini di risorse per il passaggio alla cosiddetta “ultra alta definizione”. Allora «sarà inevitabile che si spengano alcune emittenti locali; ma i rimborsi per loro saranno ridotti rispetto al passato, poiché nel frattempo aumenteranno i costi di concessione», dice Frullone. «Bisognerà poi chiedersi se alla Rai servano davvero tutte le frequenze che ora possiede», aggiunge Nicita. Che «per sempliicare il passaggio», auspica «la nascita di un operatore unico delle torri televisive, separato dai fornitori di contenuti». Tema scottante, come si è visto dal recente caso Rai Way.

Fonte: L’Espresso

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