Mediaset, in sette mesi il declino di un’azienda “modello”

Da un articolo di Marco Franchi sul Fatto Quotidiano del 06/01/2013:

Maggio 2012. A Monza la Cisl lombarda organizza come ogni anno la “fiera della contrattazione”, un seminario di due giorni durante i quali si esaminano e discutono i migliori risultati raggiunti dal sindacato in sede aziendale. E, sorpresa: come esempio da prendere a modello viene presentato un documento sindacale negoziato e firmato nel gruppo Mediaset per quadri e impiegati. Ben venticinque giorni di ferie, una generosa cassa di assistenza sanitaria totalmente a carico dell’azienda, più un fondo pensione complementare chiamato Mediafond che opera grazie a un versamento maggiorato di contributi da parte del gruppo.

Dicembre 2012. Settantasette dipendenti del gruppo organizzano un sit in di protesta davanti alla sede della Direzione Fiction di Roma. «Mamme licenziate, mignotte assunte», recita il cartello in faccia al simbolo del Biscione. Alla vigilia delle vacanze natalizie, hanno ricevuto dalla Direzione Risorse Umane RTI una lettera dal contenuto lapidario: dopo la rottura delle trattative con i sindacati, sarete convocati a breve per conoscere tempi e modalità del vostro trasferimento da Roma a Milano.

In poco più di sette mesi il copione dei rapporti fra Mediaset e i suoi circa 6mila dipendenti (tra giornalisti, tecnici e personale amministrativo) è stato completamente stravolto. Colpa dei conti che non tornano: il gruppo di Cologno Monzese ha chiuso il primo trimestre in rosso della sua storia per Mediaset. Tra luglio e settembre le perdite hanno raggiunto gli 88,4 milioni rispetto all’utile di 1,4 milioni dell’anno precedente. Il rosso ha inciso anche sui nove mesi, con un risultato netto negativo per 45,4 milioni (erano 164,3 milioni nel 2011). Sulla pay-tv Premium per la prima volta dopo molti anni si è registrato un calo sugli abbonati. E l’indebitamento netto di 1,6 miliardi dovrà essere restituito gradualmente alle banche entro il 2019.

Così l’azienda di Berlusconi ha deciso di razionalizzare. Nell’incontro di fine novembre con i sindacati, i vertici hanno definito inevitabile il taglio di 450 milioni di euro di costi in tre anni. Tra questi 24 milioni riguardano l’“ottimizzazione di staff e holding”, 9 milioni le consulenze e collaborazioni e altri 20 milioni di euro il costo del lavoro in generale. La ripresa del confronto con le organizzazioni sindacali è stato messo in agenda proprio per queste settimane.

Nel frattempo, il tallone d’Achille del Biscione resta la pubblicità. Il mercato del 2012 è a -12,4% sul 2011 perdendo di fatto 500 milioni di euro. Da sempre leader sulla ripartizione della torta degli spot, Mediaset paga un conto salato: -15% negli ultimi nove mesi. Settembre è stato chiuso con un crollo del 23%, un andamento che, secondo le dichiarazioni degli stessi manager di Publitalia, si è replicato anche a ottobre. A novembre, poi, un ulteriore peggioramento che secondo stime ufficiose di mercato si aggira intorno a un -25/27%. Le ultime indicazioni in arrivo dalla società di analisi Nielsen confermano che a ottobre in Italia gli investimenti pubblicitari sono scesi del 20% anno su anno e che novembre potrebbe essere anche peggiore. In particolare, la tv ha chiuso il mese di ottobre con un calo del 23% che si confronta con il -14% dei primi dieci mesi dell’anno.

La crisi del mercato coincide con una riorganizzazione al vertice della storica concessionaria del gruppo, Publitalia. Dal 1994 a guidarla è un uomo fidato del Cavaliere, Giuliano Adreani, ma dall’inizio di quest’anno le redini operative sono state affidate a Stefano Sala, amministratore delegato del centro media del gruppo WPP. Adreani resta infatti presidente e consigliere delegato ma con deleghe fortemente ridimensionate. Un cambio di marcia che, secondo alcuni analisti, potrebbe anche portare a un ripensamento delle strutture dedicate alla raccolta pubblicitaria (come Digitalia e Mediamond, la joint venture paritetica con Mondadori) ma c’è anche chi non esclude in futuro l’integrazione tra Publitalia e Mondadori Pubblicità.

Nel frattempo una trentina di manager della concessionaria è stata già accompagnata alla porta, la chiusura delle sedi di Brescia e Padova sarà seguita nei prossimi mesi da Parma o Bologna e i circa 700 dipendenti temono un’altra tornata di licenziamenti entro primavera.

One thought on “Mediaset, in sette mesi il declino di un’azienda “modello”

  1. Ero dipendente Mediaset, il processo di esternalizzazione/spin off/trasferimenti è iniziato alla fine degli anni 90, da allora centinaia di dipendenti ex colleghi, uno dopo l’altro sono stati messi in condizione di andarsene in modo frammentato e silenzioso, oggi c’è una accelerazione del fenomeno e la cosa appare più evidente.
    Non centrano assolutamente le cause economiche e nemmeno la crisi, nel 1980 le difficoltà erano ben maggiori rispetto alla posizione dominante odierna del Gruppo e la strada era tutta in salita. Il cambio di gestione da padre a figli ha profondamente modificato la natura dei rapporti interni al gruppo, infatti una delle caratteristiche vincenti di fininest/mediaset stava nell’intenso affiatamento interpersonale con conseguente compattezza dei collaboratori. Oggi assistiamo ad una normalissima gestione simile a centinaia di aziende non a caso in difficoltà, questa normalizzazione e superficiale gestione del personale ha leso il rapporto di fiducia interno diminuendo la capacità operativa per affrontare le difficoltà del mercato. Se rivedete la storia della caduta dell’impero romano troverete moltissime similitudini con quanto oggi accade in Mediaset. Purtroppo la crisi del gruppo è segnata nelle scelte di chi gestisce.

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