La base d’asta per le frequenze tv del digitale terrestre sarà poco meno di 100 milioni di euro. Meno della metà della cifra (240 milioni) ipotizzata subito dopo l’approvazione del provvedimento dell’Agcom.
Il testo del regolamento, analizzato da Andrea Sechi per il quotidiano ItaliaOggi, contiene una sorpresa che conferma la scarsa appetibilità dell’asta pubblica nei confronti dei nuovi entranti del mercato tv digiale: il prezzo di partenza dei tre lotti di canali (L1, L2 e L3 già criticati dalla Commissione europea) oscilla tra i 30 e i 36 milioni ciascuno, contro gli 80 milioni ipotizzati in precedenza.
Il presidente dell’Agcom, Angelo Cardiani, invece, aveva dichiarato a La Repubblica un’ipotesi di base d’asta di 4 milioni annui per rete in vendita, per i 20 anni di durata della concessione. Cioè 240 milioni in totale. In previsione della vendita di un pacchetto di frequenze di dubbia qualità, un prezzo di partenza più basso forse potrà attirare l’attenzione di più operatori tv che rientrano nelle regole della gara. E i lotti in banda VHF, quelli meno ambiti, che partono da una base d’asta di circa 31,5 milioni, potrebbero essere addirittura ceduti semplicemente per la cifra base.
E’ ovvio che lo Stato incasserà molti meno denari rispetto alle stime miliardarie calcolate mesi fa da Mediobanca. Il motivo delle differenza sta nella valorizzazione dei multiplex. Nel testo approvato si stabilisce che si faccia riferimento a quanto risarcito alle emittenti locali l’anno scorso per il rilascio delle frequenze assegnate alla banda larga mobile. I calcoli determinano che le frequenze UHF varranno di base 35,96 milioni, mentre quelle VHF appunto 31,5 milioni. 98,96 milioni di euro in totale.
Nella bozza di regolamento Agcom precedente si stabiliva invece che i mux dovevano essere valutati in base ai ricavi della famosa asta LTE (che riuscì a incassare 3,9 miliardi di euro), che, con una serie di sconti stimava, le frequenze intorno ai 240 milioni. L’Agcom quindi attende la seconda asta, quella che offrirà la seconda tranche di frequenze alle compagnie telefoniche per la banda larga mobile, per far incassare allo Stato un cifra intorno al miliardo di euro.
Fonte: ItaliaOggi
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