Martedì prossimo si apre il tavolo tra broadcaster, associazioni tv, Agcom e Ministero dello sviluppo economico sulla liberazione delle frequenze tv della banda 700 MHz all’asta in questi giorni con destinazione uso 5G.
Sul tavolo del Mise si dovranno individuare i modi per mettere in pratica quanto deciso dall’UE e accolto dalla Legge di Bilancio 2018: la liberazione delle frequenze in banda 700 MHz assegnate in questi giorni alle telco nella gara di assegnazione che ha fatto registrare 4,4 miliardi di incassi per lo Stato. La legge di Bilancio prevede che il passaggio avvenga entro il 30 giugno 2022 dando un’inquadratura generale. Mancano però molti dettagli di come questa operazione si dovrà fare. Un’operazione complessa per le emittenti tv, che vedranno ridotto lo spazio di spettro elettromagnetico nel quale attualmente trasmettono, ma anche per i cittadini che in molti casi dovranno acquistare un nuovo tv o decoder.
Uno dei temi che sicuramente sarà affrontato nel Tavolo di coordinamento Tv 4.0, le cui vicepresidenze sono state affidate al presidente di Confindustria Radio Televisioni, Franco Siddi, e a un esponente dell’Agcom, è la riserva obbligatoria delle frequenze alle televisioni locali, pari per legge a un terzo del totale. Il problema è che mantenendo questo criterio sarebbe difficile far posto a tutti i canali nazionali, che con il digitale terrestre si sono moltiplicati.
Con l’ abbandono della banda 700, infatti, le frequenze saranno più che dimezzate e alle tv nazionali spetterebbero 10 multiplex, mentre alle locali ne andrebbero quattro più parte di un multiplex regionale della Rai. Per molti questa è una spartizione inefficiente di uno spettro più scarso che mai, visto che molte tv locali nel frattempo hanno chiuso e altre sarebbero pronte a lasciare l’attività in cambio di adeguati incentivi.
Anche le associazioni di emittenti locali sono ormai disposte a discutere di questo argomento. Lo era già da tempo l’Associazione Tv Locali aderente a Confindustria Radio Televisioni (Crtv) guidata da Maurizio Giunco, ma anche il coordinatore di Aeranti-Corallo, Marco Rossignoli, spiega che «la riserva di un terzo non è un dogma. In questa nuova situazione il tema non può essere affrontato ragionando in termini astratti: il problema reale è quali garanzie di continuità aziendale hanno nel complesso le tv locali. Siamo in grado di garantire che ogni tv locale avrà un tot di capacità trasmissiva e garanzia di accesso sui mux così che chi vuole seriamente svolgere la propria attività dopo il 2022 possa realmente farlo? Per ora no».
In effetti i punti in sospeso per queste emittenti sono diversi. «La roadmap per noi è impossibile», spiega Giunco, «il rilascio delle frequenze per le tv locali parte il 1° gennaio del 2020, lo Switch-off delle nazionali è a giugno 2022. Intanto non si conoscono ancora le modalità con cui un fornitore di contenuti sarà trasportato sulle nuove frequenze, ma anche trovando una frequenza su cui trasmettere sarà necessaria la risintonizzazione. Se lo Switch-off avvenisse per tutti allo stesso momento come avvenuto con il passaggio al digitale terrestre sarebbe più facile, ma così il rischio è che le locali spariscano dalle tv. Sparire anche solo per qualche settimana significa morire».
Già mettere a posto il tassello delle locali, insomma, servirebbe ad avere più chiaro l’assetto finale del digitale terrestre. E in questo ambito non è indifferente il ruolo che giocheranno gli indennizzi per la rottamazione delle frequenze previsti dal governo, circa 300 milioni di euro, giudicati però insufficienti da Aeranti-Corallo perché quasi la metà rispetto a quelli per il rilascio della banda 700 nel calcolo per abitante coperto.
I nodi del passaggio però non sono finiti qui. Il resto dell’operazione ha bisogno ancora di essere dettagliato. Non si conoscono ancora i piani e le modalità di assistenza e informazione dedicate ai telespettatori nei cambiamenti previsti fino al 2022. Per far stare tutti i canali in un numero minore di frequenze, infatti, sarà necessario passare a tecnologie di trasmissione più evolute di quelle attuali e non tutti gli apparecchi tv nelle case sono pronti.
Il passaggio tecnologico della tv digitale terrestre sarà in due fasi: prima si manterrà l’attuale tecnologia cambiandone però un tassello, la codifica, da Mpeg-2 a Mpeg-4, e già qui i televisori più vecchi potrebbero non essere adeguati; poi si passerà al digitale terrestre di seconda generazione DVB-T2 e per la maggior parte dei cittadini significherà dotarsi di un nuovo decoder per molti ignificherà cambiare tv.
Altro nodo da sciogliere: Rai 3, con parte delle locali, sarà trasmesso su un multiplex in banda III che la maggior parte delle antenne oggi non riceve. Anche in questo caso ci sarà da adeguare gli impianti e il tutto con contributi statali per appena 100 milioni. Senza contare, infine, che il passaggio delle tv nazionali non sarà meno complesso di quanto raccontato finora, con la trasformazione dei diritti d’uso delle frequenze in diritti di capacità trasmissiva e poi di nuovo l’assegnazione delle frequenze, l’incognita su quante ne spetteranno a ciascuno e l’eventualità che ci sia coabitazione di più soggetti nello stesso multiplex, cosa finora mai successa. Il tutto potrebbe essere sconvolto dai soliti incontrollati ricorsi per vie giudiziarie delle parti coinvolte. Si lavora per evitare l’ennrsimo caos e far west delle frequenze tv.
Fonte: ItaliaOggi