Il 2019 sarà l’anno della televisione del futuro, tra le fusioni di grandi gruppi mondiali dell’intrattenimento e l’affermazione dei colossi del web.
Go big or go home. I player del mercato televisivo e dei contenuti negli Usa di questo concetto hanno fatto quasi un dogma. È di giugno l’ok definitivo alla fusione da 85 miliardi di dollari fra AT&T e Time Warner. A fine luglio il secondo, fragoroso, urlo del mercato con l’ok degli azionisti di entrambe le società al deal fra Disney e 21st Century Fox (ora restano altri passaggi regolamentari con la previsione di completare la fusione nella prima metà del 2019). Ma dagli Stati Uniti l’ onda sta caricando verso l’Europa, sull’asse Comcast-Sky e non solo.
Un big bang, per la tv del futuro. In cui nulla è da dare per scontato, neanche nella metà campo dei “nuovi ricchi”: i giganti del videostreaming che capeggiati da Netflix hanno picchiato sulle fondamenta del mercato audiovisivo tradizionale. Volendo parlare di Netflix, la presentazione degli ultimi conti ha avuto l’ effetto di un bagno di realtà. I numeri del secondo trimestre, pur puntando verso l’alto, non sono piaciuti e gli analisti hanno iniziato a vedere nuvole sempre più minacciose all’orizzonte, a partire da quei “total liabilities”, il totale delle passività, a 18 miliardi di dollari, di cui 6 a breve termine. Anche perché l’asticella dei costi per i contenuti continua ad alzarsi: 8 miliardi di dollari nel 2018 con alcuni che si sono spinti fino a prevederne 12. In questo quadro non giova essere diventata il primo bersaglio della “contraerea”: l’annuncio di Disney – un anno fa – di togliere dal catalogo Netflix i propri film e le serie tv nel 2019 (pensando a un proprio servizio che analisti e commentatori hanno battezzato “Disneyflix”) ha segnato un punto di rottura.
Nel video on demand starebbe per scendere in campo, e con decisione, Walmart. In realtà il colosso Usa dei supermercati già possiede dal 2010 Vudu, una piattaforma secondo il modello Tvod: paghi per quello che richiedi. Per ora un’esperienza residuale. Nella nuova avventura di Walmart c’è invece lo Svod, il videostreaming in abbonamento, in diretta competizione con Netflix e con una Amazon intenzionata a fare sempre più sul serio con la sua Prime Video. Secondo l’ agenzia Bloomberg, starebbe trattando con gli studios Sony e Paramount per cofinanziare la produzione di film in cambio di alcuni diritti relativi alla distribuzione in streaming. Forti investimenti in contenuti (5 miliardi di dollari quest’anno secondo Bloomberg) e l’attenzione allo sport, ma anche l’ integrazione fra video ed e-commerce, come da offerta Prime, fanno di Amazon un player molto temuto.
All’ elenco si uniscono YouTube Tv (per ora in Usa) e Facebook Watch, la cui espansione su scala globale (con sbarco in Italia solo su dispositivi mobile per ora) è stata annunciata in settimana. Insomma, tutti colossi in grado di darsi spallate non da poco. Fare massa critica è diventata così un’esigenza non procrastinabile.
La concentrazione «difensiva». Negli Usa a marzo si è completata la fusione fra Discovery e Scripps: un rafforzamento sul fronte domestico ma anche in Europa per la posizione che Scripps ha in Uk e Polonia. A metà luglio Comcast, nel ritirarsi dalla battaglia per Fox, ha invece spianato la strada alla conquista dell’impero di Rupert Murdoch da parte di Disney per 71,3 miliardi di dollari. A passare di mano saranno la casa di produzione cinematografica 20th Century Fox, gli studios tv, reti e canali, il controllo del gigante Star in India e il 30% del servizio di streaming Hulu.
Un’incognita riguarda Sky: sull’intento di Murdoch di rilevare il 61% che non possiede pesano infatti proprio le avances dell’avversaria Comcast. Del resto, per quest’ultima che è un colosso delle tlc ma anche uno dei leader della tv via cavo in Usa e proprietaria di Nbc Universal e Dreamworks, conquistare Sky significherebbe diventare il principale operatore di pay-tv nel mondo – escluso il mercato domestico cinese – con oltre 45 milioni di abbonati, entrando da protagonista in mercati come Italia, Uk, Germania, Irlanda e Austria.
La corsa del Vod. Di fondo c’è che occorre fare i conti con l’avanzata prepotente del video on demand. «Nei prossimi anni i servizi Svod, focalizzandosi su contenuti premium e andando a concorrere per i diritti sportivi e contenuti lineari, mireranno a fornire una programmazione che punterà a far diventare il Vod un sostituto piuttosto che un complemento della tv tradizionale», spiega Augusto Preta di It Media Consulting che nel suo report “Video on demand in Europe 2018-2021”, fra i vari risultati ha evidenziato che i ricavi totali del Vod in Europa dovrebbero salire dai 6,26 miliardi del 2018 agli 8,8 miliardi del 2021. Una crescita che «sta guidando un significativo calo degli abbonamenti alla pay-tv». Non a caso in Uk l’Ofcom, l’ Authority per le comunicazioni, ha sancito nel primo trimestre il sorpasso degli abbonamenti allo streaming (15,5 milioni) su quelli alla pay tv (15,1).
C’è a ogni modo un aspetto da sottolineare secondo Emilio Pucci, direttore e-Media Institute: «La tv sta mantenendo la sua centralità all’interno del sistema audiovisivo che cresce». Certo, i deal al di là dell’Atlantico dicono di un salto che i gruppi storici stanno compiendo per avere dimensioni da contrapporre ai vari Amazon, Netflix, Facebook, Google, Apple. «Il passaggio successivo – aggiunge Pucci – sarà il lancio di piattaforme globali, come ad esempio la ipotetica globalizzazione di Hulu che per ora resta solo statunitense».
La partita europea. Con le mire di Comcast su Sky la fase di effervescenza negli Usa approda nel Vecchio continente. Prima conseguenza: la spinta a una sempre maggiore convergenza fra tlc e media. Seconda: i broadcaster tradizionali iniziano a muoversi. Si pensi alla collaborazione fra Rai, France Télévisions e la tedesca Zdf per la coproduzione di fiction. Sempre alla logica del rafforzamento rispondono i ragionamenti in casa Mediaset, dove l’ ad Pier Silvio Berlusconi ha segnalato come il gruppo – che ha Mediaset España e che alla veste internazionale aveva evidentemente mirato con il matrimonio, finito male prima ancora di iniziare, con i francesi di Vivendi – stia pensando a uno sviluppo internazionale. Si parla di Tf1 e Prosiebensat.1, con la pista tedesca che sembra la più calda. I proventi dell’ operazione Ei Towers, con una plusvalenza superiore ai 510 milioni, potrebbero essere la chiave per un progetto che ha avuto quantomeno un prodromo nell’alleanza “Ebx” sugli spot (Mediaset, Prosiebensat.1, Tf1 e Channel 4). Le possibili intese tra i broadcaster vanno ora a intrecciarsi con il futuro in arrivo per Sky che, peraltro, ha avuto un anno di grande dinamismo, dall’accordo commerciale con Mediaset in Italia all’ intesa paneuropea con Netflix che si svilupperà fra 2019 e 2020.
Fonte: Il Sole 24 Ore