La favola di Mediaset sul concorso di bellezza delle frequenze tv

E’ il settembre delle gare pubbliche delle frequenze. Da una parte infuria a suon di rilanci miliardari l’asta LTE, la competizione tra le compagnie telefoniche per i canali per la banda larga mobile con le tecnologie del 4G. Dall’altra è iniziata con grandi polemiche la placida gara non competitiva indetta dal Ministero dello sviluppo, in forma di beauty contest, che assegnerà gratuitamente 6 multiplex del digitale terrestre agli operatori nazionali e soprattutto ai soliti incumbent della televisione italiana.

Roventi polemiche, sorte dalle opposizioni politiche e dalla stampa, hanno denunciato la disparità tra le due gare: mentre la prima sta per concludere la vendita di 255 MHz dello spettro elettromagnetico portando nelle casse dello Stato più di 3 miliardi di euro, la seconda (il concorso di bellezza) si appresta a regalare 6 frequenze valutate più di 1,5 miliardi a Mediaset, Rai, Telecom Italia, Prima Tv, Sky ed altri. Uno spreco immane di risorse pubbliche e l’ennesimo cadeaux alle tv del premier.

Mediaset ha fornito la sua versione sulla vicenda delle gare delle frequenze, attraverso una lettera inviata al direttore del Corriere della Sera da Gina Nieri, componente del cda di Cologno Monzese.  La Nieri comincia con i distinguo:

«Asta LTE e beauty contest sono due partite completamente diverse. – afferma – Cominciamo dal beauty contest. L’assegnazione delle frequenze tv deriva dalle disposizioni imposte dall’UE e regolate dallo Stato per il passaggio al digitale terrestre. In Italia non c’era la disponibilità di asset frequenziali liberi da dedicare al digitale in quanto la presenza di oltre 500 tv locali, fenomeno unico al mondo, aveva generato l’occupazione totale delle frequenze disponibili. Con la legge 66 del 2001, il governo di Giuliano Amato scelse allora di velocizzare il processo spingendo gli operatori nazionali ad acquistare frequenze di tv locali fino all’ effettiva introduzione del digitale. In poche parole, i broadcaster nazionali italiani pagarono di tasca propria la conversione al nuovo standard che, è bene ricordare, non fu una scelta di evoluzione imprenditoriale ma un costoso passaggio obbligatorio per legge. Così facendo i broadcaster hanno sopperito all’ impossibilità dello Stato di organizzare con i propri mezzi la transizione al digitale. Negli Stati Uniti e nei maggiori Paesi europei, invece, lo Stato ha assegnato agli operatori senza alcun costo le frequenze necessarie allo switch off dell’ analogico. In nessuna parte del mondo si sono quindi tenute aste per le frequenze digitali tv, al contrario di quanto sostiene chi, poco informato, invoca una vendita a caro prezzo anche per l’ Italia. Di più: da noi i broadcaster commerciali storici hanno dovuto comprare sul mercato tutte le frequenze su cui operano. Mediaset negli anni ha acquisito tv locali per costruire il network Canale 5, rilevato Italia 1 dall’ editore Rusconi, Retequattro da Mondadori, e per poter esercitare l’ attività in digitale terrestre ha dovuto acquistare tre nuovi multiplex. L’ investimento complessivo è stato di circa 1 miliardo di euro, a cui si aggiungono i canoni di concessione richiesti dallo Stato (nel nostro caso, 19 milioni di euro l’ anno). Tuttavia, nel passaggio dall’ analogico al digitale, Mediaset in cambio delle tre frequenze analogiche di Canale 5, Italia 1 e Retequattro otterrà dallo Stato a fine switch-off solo due multiplex digitali perdendo una delle frequenze storiche regolarmente comprata e pagata. Si potrebbe addirittura parlare di esproprio di un bene, il diritto d’ uso delle frequenze, legalmente acquisito. Identico sacrificio è stato chiesto a Rai e Telecom Italia Media che hanno dovuto rinunciare a una frequenza ciascuno. Dove sono andate queste frequenze “requisite”? Ad alimentare la costituzione del cosiddetto dividendo digitale che oggi viene appunto riassegnato, per disposizione dell’ Europa a chiusura dell’ infrazione contestata all’ Italia, con la procedura pubblica, equa e trasparente del beauty contest. Ed è sempre l’ Europa ad aver stabilito che all’ assegnazione potessero partecipare sia gli operatori storici sia i nuovi entranti italiani e stranieri come Newscorp con Sky Italia. Giusto a titolo di cronaca: in tutto questo percorso iniziato nel 2001 Silvio Berlusconi non c’ entra niente».

Ma Berlusconi c’entra eccome. Anche se Mediaset acquistò (come è giusto) la licenza di trasmissione delle sue frequenze dalla prima legge del 2001 sulla regolamentazione del digitale terrestre, la signora Nieri omette consapevolmente l’altra legge, quella dell’ex-ministro alle comunicazioni Gasparri (n.116 3 maggio 2004), approvata dal governo Berlusconi II, che definì il nuovo assetto del sistema tv italiano, cominciò a negare il pluralismo d’informazione in tv, aumentò la pubblicità per le reti private, consentì al canale Rete 4 di rimanere in onda (nonostante numerose sentenze) ai danni dell’operatore Europa 7, e logicamente rafforzò la posizione dominante delle reti del gruppo di Berlusconi, in vista del futuro passaggio al digitale terrestre.

Una legge nefasta che andò contro le sentenze della Corte Costituzionale, e, rea di aver creato un sistema televisivo ancora più sbilanciato a favore degli operatori dominanti (Rai-Mediaset), fu causa diretta dell’apertura di una procedura di infrazione UE delle norme europee del diritto alla concorrenza (con multe da 125 mila euro in su al giorno), che pende ancora sulle teste dei cittadini italiani, e sarà cancellata definitivamente solo dopo l’assegnazione dei 5+1 multiplex a nuovi operatori tv nel celebre concorso di bellezza, a patto però che il mercato italiano si apra concretamente.

La Nieri continua nella sua lettera:«Completamente diversa è la genesi dell’asta per le compagnie telefoniche. Qui le frequenze pregiate oggetto dei rilanci sono quelle televisive, ripetiamo televisive, che grazie alla tecnologia digitale hanno aumentato la capacità trasmissiva creando nuovi spazi che, secondo le disposizioni della Commissione europea, gli Stati membri devono in parte cedere ai servizi di telefonia con procedure d’ asta. E per le compagnie di tlc saranno risorse già pronte, visto che il traffico lo generano gli utenti, per esercitare un’attività di servizi a pagamento. Al contrario, nel caso della tv le frequenze sono solo la precondizione per iniziare l’ attività, come fossero un nudo terreno totalmente da urbanizzare. Le emittenti devono poi investire pesantemente per produrre o acquistare contenuti, organizzarli in palinsesti, strutturare la raccolta della pubblicità. Ricapitolando. In un caso, le frequenze per le tv, si tratta di asset che i broadcaster storici hanno già abbondantemente pagato, riconsegnato in parte allo Stato e che ora potrebbero riottenere se il beauty contest avesse esito positivo. Nell’ altro caso, le frequenze per le tlc, si tratta di un bene totalmente nuovo, sottratto al sistema televisivo, e pronto all’ uso per nuove opportunità di business. Un’ ultima osservazione riguarda il ruolo di servizio universale della tv gratuita. E’ una garanzia per tutti i cittadini di un’ offerta di qualità nell’ informazione e nell’ intrattenimento, un bene di democrazia che val la pena di difendere. I servizi che gli operatori telefonici offriranno sulle nuove frequenze saranno invece solo a pagamento» conclude Gina Nieri.

Ma Mediaset, dimentica ancora una volta la Nieri, si è accaparrata, grazie alle leggi del governo Berlusconi, più frequenze rispetto alle tre corrispettive del dividendo analogico del passato (saranno 5 con il nuovo mux), occupando l’etere non solo con le tv commerciali, ma anche e soprattutto con il nuovo asset della televisione a pagamento di Premium. L’Europa poi ha deciso di ripartire una parte delle frequenze tv per l’uso della banda larga mobile. Le aste LTE si stanno svolgendo in tutti i paesi, ma il governo italiano per non danneggiare le tv nazionali ha deciso di sottrarre forzatamente i canali alle sole emittenti locali. L’unico esproprio in atto quindi è quello a danno delle tv locali, mentre l’azienda di Cologno (come Telecom Italia Media) è stata privata di una frequenza non sua (58 UHF) concessa dal Ministero per qualche mese per sperimentare nuove tecnologie, come l’HD e il 3D, che sarà inoltre riassegnata al Biscione al termine della gara non competitiva.

Insomma, il confronto di Gina Nieri non regge, perchè se da una parte le compagnie telefoniche sborseranno miliardi di euro nella gara a rilanci per l’acquisto delle frequenze per il 4G, per poi fare il proprio business di servizi che ha comunque un costo e vendere i propri prodotti, Mediaset potrà tranquillamente continuare a vendere la propria offerta pay e a raccogliere pubblicità per miliardi di euro all’anno sui canali mai pagati ottenuti dalle leggi dei governi compiacenti e dalla gara pubblica (pensata dalla Commissione europea per i nuovi entrati, ma che assegnerà comunque due canali a Rai e Mediaset) senza spendere un euro.

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