Da un articolo di Guido Scorza del 14/12/2010 su puntoinformatico.it:
Roma – Un’intervista, pubblicata ieri, al Commissario Enzo Savarese, uno dei membri dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, ha riaperto il dibattito sullo schema di Regolamento sul quale l’AGCOM dovrebbe promuovere, il prossimo 17 dicembre, una consultazione pubblica allo scopo di poter varare il provvedimento in materia di enforcement dei diritti d’autore che l’art. 6 del famigerato Decreto Romani le impone di adottare. Nell’intervista il Commissario sembra voler rassicurare gli utenti della Rete circa il fatto che l’Autorità intende assumere posizioni garantiste e che il modello di riferimento non sarà, in nessun caso, la francese Hadopi.[…]
[…] Che abbia ragione il Commissario Savarese nello sforzarsi di distendere gli animi rassicurando tutti circa le “buone” intenzioni dell’Autorità o, piuttosto, le voci in circolazione a suggerire di attendere prima di tirare un sospiro di sollievo, l’occasione è comunque utile – alla vigilia del Consiglio AGCOM dal quale dovrà uscire lo schema di regolamento da discutere – per chiarire alcuni profili della questione che sarebbe opportuno l’Autorità tenesse nel debito conto sin d’ora.[…]
[…] Ogni contenuto audiovisivo pubblicato in Rete costituisce, innanzitutto, una forma di manifestazione del pensiero di qualcuno e, dunque, una tessera di quello straordinario puzzle dello spazio pubblico dell’informazione che, probabilmente, rappresenta una delle conquiste più preziose rese possibili attraverso Internet. Si sbaglierebbe, quindi, nel guardare a queste tessere solo come ad un insieme di suoni ed immagini di proprietà di qualcuno e, magari, rubate da qualcun altro. Dettare le regole relative all’enforcement dei diritti d’autore in Rete, come il Decreto Romani impone all’AGCOM di fare, pertanto, non significa semplicemente occuparsi di come garantire alle major dell’audiovisivo un adeguato ritorno dei propri colossali – ed in molti casi, ormai, inutili – investimenti ma, anche e soprattutto, preoccuparsi di scongiurare il rischio che il diritto d’autore divenga strumento – diretto o indiretto – di controllo sull’informazione diffusa nello spazio telematico. Ad un tempo non si può e non si deve dimenticare che l’obiettivo ultimo della disciplina sul diritto d’autore è quello di garantire a quanti più cittadini possibile l’accesso al nostro patrimonio artistico-culturale e non già quello di assicurare il maggior possibile profitto ai titolari dei diritti.
Tali considerazioni sono, da sole, sufficienti a far comprendere quanto grande sia stato l’errore commesso dal nostro legislatore nel delegare ad un’Autorità amministrativa il compito di dettare le regole dell’enforcement dei diritti d’autore in Rete. Governace dello spazio pubblico dell’informazione, bilanciamento tra libertà di manifestazione del pensiero di milioni di cittadini e diritti patrimoniali di pochi e, per finire, massimizzazione della circolazione dei prodotti culturali nello spazio telematico sono infatti temi che avrebbero meritato un ampio ed approfondito dibattito parlamentare. Tanto basta per suggerire all’AGCOM di adottare, nell’avvicinarsi al problema, un profilo davvero basso, oserei dire quasi invisibile, e soprattutto di rifuggire l’idea di guardare all’enforcement dei diritti d’autore come ad una questione di tecnica.
C’è poi una seconda questione di principio che è bene l’Autorità tenga a mente prima di ipotizzare qualsivoglia genere di disciplina della materia. Nessuno, allo stato – nonostante le parole del Commissario Savarese secondo il quale l’infrastruttura di rete italiana sarebbe lenta, inefficiente ed al collasso per colpa del download illegale – si è preso la briga di indagare a fondo le dinamiche di circolazione dei contenuti audiovisivi nello spazio telematico né di interrogarsi circa le conseguenze negative che tale download effettivamente produce al mercato di riferimento. Tale incertezza del contesto di mercato è un dato, peraltro, condiviso dalla stessa AGCOM nello studio pubblicato nella scorsa primavera. Si sbaglierebbe, pertanto, oggi se si dimenticassero tali buoni propositi e si volesse provare, comunque, a disciplinare una materia della quale si è consapevolmente ignoranti.
Ancora un principio da non dimenticare. Il Commissario Savarese, nella sua intervista, fa riferimento esplicito al P2P ed ad altre piattaforme che renderebbero possibile e/o agevolerebbero l’accesso illegale a materiale protetto da diritto d’autore. A leggere le parole del Commissario Agcom e quelle ulteriori rimbalzate in Rete, vien da pensare che in Agcom stiano ipotizzando di dotarsi di poteri idonei ad intervenire direttamente – magari tramite gli ISP – per la limitazione dell’accesso degli utenti a taluni servizi, protocolli o piattaforme. Guai a dimenticare che la tecnologia è sempre neutra e che sono, eventualmente, le sue forme di utilizzo a poter risultare lecite o illecite con la conseguenza che sarebbe un errore continuare a pensare che ci siano tecnologie cattive solo perché spesso utilizzate da presunti pirati. Sin qui per quanto riguarda i principi.
Veniamo ora alle regole. Il diritto d’autore è uno dei tanti beni giuridico-economici, ritenuti meritevoli di tutela dall’ordinamento e contro le cui violazioni è importante apprestare – specie nella società dell’informazione – adeguate forme di repressione delle eventuali violazioni. Non sussiste tuttavia nessuna ragione per adottare, in relazione a tali violazioni, uno speciale regime repressivo, diverso da quello elaborato per ogni altro reato contro il patrimonio. Non siamo di fronte ad un diritto sovra-ordinato e non c’è pertanto nessuna ragione perché l’AGCOM si sostituisca all’Autorità giudiziaria nell’accertamento delle eventuali violazioni e, soprattutto, nell’adozione di provvedimenti di natura inibitoria relativi alla diffusione di questo o quel contenuto. Provvedimenti che, per quanto detto, si traducono in ultima analisi in una limitazione della libertà di manifestazione del pensiero di qualcuno.
L’auspicio è pertanto che l’Autorità, nello schema di Regolamento, si limiti a disciplinare modalità e processi che l’aiutino – ed aiutino tutti gli operatori – a comprendere a fondo, attraverso monitoraggi o analoghe soluzioni, le dinamiche della circolazione dei contenuti audiovisivi nello spazio telematico e, quindi, rinvii ad un momento successivo rispetto all’accertamento di tali dinamiche l’adozione di qualsiasi provvedimento. A volte aver il coraggio di ammettere di non sapere è il primo passo per la comprensione di un fenomeno e per l’individuazione di eventuali risposte e soluzioni. Non resta che stare a guardare cosa accadrà il 17 dicembre, con la speranza che il buon senso prevalga su talune istanze che ormai appartengono più alla storia che al presente, e che sarebbe un peccato divenissero la base per la regolamentazione del futuro.
Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
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