In questo ultimo anno, lo testimoniano le numerose e dolorose chiusure, le tv locali private sono in gradissima difficoltà, soprattutto quelle più strutturate e regionali. Il passaggio al digitale terrestre, terminato il 4 luglio scorso in Sicilia, ha comportato ingenti investimenti tecnologici per circa 800 milioni, che per ora non producono alcun ritorno. E la crisi ecenomica incombe con una corsa al ribasso delle tariffe pubblicitarie che fa crollare i fatturati.
Mentre i costi di produzione sono aumentati del 25% (dal 2008), i ricavi si sono dimezzati (572 milioni nel 2010 secondo FRT). E la legge per la spending review ha tagliato 20 milioni nel 2013 e 30 mln nel 2014 per i contributi statali al comparto. Con lo spettro del taglio definitivo degli stessi negli anni sucessivi.
Intanto in ben otto regioni passate negli anni scorsi al digitale le tv locali dovranno liberare i canali 61-69 UHF venduti nella famosa asta LTE (del settembre 2011) alle compagnie telefoniche e destinati all’uso della banda larga mobile. Frequenze che dovranno essere disponibili entro il primo gennaio 2013. Ma dalla cessione forzata dei canali, le emittenti regionali otterranno un indennizzo (definito più volte irrisorio dalle associazioni delle tv) che nel tempo (dai 400 milioni iniziali, cioè il 10% dei ricavi totali dell’asta) è andato assottigliandosi a meno di 170 milioni di euro.
Il 7 agosto scorso il MSE ha pubblicato le graduatorie delle emittenti locali che sono disponibili a liberare le frequenze. Mentre per i canali mancanti all’appello, a settembre il Ministero farà una gara per l’assegnazione di canali alternativi. 12 frequenze (dal 49 al 60 UHF) sono destinate ai servizi di telefonia mobile ma solo dal 2015. Una situazione che, come denunciato da FRT, potrebbe sottrarre ulteriori risorse frequenziali alle tv locali.
FRT infatti denuncia la mancanza di un confronto con il Ministero, e denuncia che il governo miri a risolvere il problema della scarsità di frequenze attraverso la chiusura di numerose tv locali. «In tutto in Italia esistono 450 tv, comprese quelle non commerciali – dichiara Giunco a Il Sole 24 Ore – : un numero abnorme per la sostenibilità finanziaria sul territorio, ma quelle strutturate, iscritte ad Auditel, sono circa 120». Il passaggio al digitale terrestre – afferma Giunco – pur moltiplicando per sei la possibilità di trasmissione del segnale tv, ha causato un gigantesco problema economico in un periodo di forte crisi.
«Il 95% della pubblicità del mercato televisivo è raccolto da Rai, Mediaset e Sky con tariffe molto vicine a quelle delle tv locali. Questo distrugge la possibilità di ricavi per le emittenti regionali. A fine anno i 5.500 dipendenti del comparto saranno solo 2000», prevede Giunco. Inoltre si va a sommare anche la concorrenza di altre piattaforme tecnologiche e il credit crunch ostacola il reperimento di risorse per investimenti.
Marco Rossignoli, coordinatore del consorzio Aeranti-Corallo, che rappresenta un comparto di oltre 6 mila lavoratori e 10 mila collaboratori, afferma che i contributi statali per il 2013 saranno di soli 83 milioni di euro, e contando i danni provocati dai recenti, disorganizzati e ritardatari Switch-off della tv digitale terrestre, le prospettive non sono sicuramente buone. Secondo Rossignoli si deve trovare un nuovo modello di busuness sostenibile, ma solo con un’azione di governo per la ripresa del mercato pubblicitario (con ad esempio contributi alle imprese che investono in pubblicità) che non si è mai vista, e che fa piombare il comparto in una perenne situazione di incertezza.
Fonte: Il Sole 24 Ore