Come previsto il governo ufficializza la grande frenata sulla Rai. Niente nuova governance per Viale Mazzini. Il cda verrà rinnovato con le vecchie regole della Gasparri, ossia 7 consiglieri selezionati accuratamente dai partiti e votati in commissione di Vigilanza, 2 membri del Cda scelti dal ministero dell’Economia. Tra questi ultimi uscirà fuori il presidente che però ha bisogno del consenso dei due terzi della Vigilanza.
Piero Giarda, ministro dei Rapporti con il Parlamento, rispondendo alla Camera, ammette che per le riforme Rai non c’è il tempo. Ma in realtà non c’è stata la volontà politica e il coraggio di cambiare la lottizzazione della tv di Stato. A pochi giorni dal 4 maggio, data in cui l’assemblea degli azionisti (Tesoro al 95%, Siae al 5%) approverà il bilancio consuntivo mettendo fine formalmente al mandato del vecchio consiglio. In questo modo oltre al salvataggio della legge Gasparri viene salvato tutto il sistema di votazione partitico dei consiglieri Rai. E il governo indicherà i suoi due membri dopo gli altri sette scelti dalla politica.
Secondo Goffredo De Marchis (La Repubblica) tutto il trambusto riforma potrebbe concludersi con la pronosticata proroga dell’attuale Cda fino alle elezioni del 2013, con il dg Lorenza Lei in testa sostenuta dalla CEI e dal Pdl. Un’eventualità probabilissima soprattutto se il Pd confermerà e attuerà le minaccie di astensione dalle votazioni. Secondo alcune voci, potrebbero però cambiare i nomi dei due dirigenti chiamati dal governo: il Quirinale ad esempio vedrebbe bene alla presidenza della Rai Enrico Bondi, il risanatore di Parmalat, mentre come dg si parla da tempo di Francesco Caio.Ma sono solo nomi, di tecnici.
Il leader della CGIL, Susanna Camusso, commenta: «La scelta del governo di tornare all’applicazione della legge Gasparri sulle nomine, come ho letto stamattina sui giornali, è preoccupante: è una scelta di continuismo rispetto ai disastri che si sono compiuti in Rai in questi ultimi anni, non solo con questo Cda». La famigerata legge «non è un segno di equità, non solo rispetto alle rivendicazioni dei lavoratori da cui noi dobbiamo partire, ma per la funzione del servizio pubblico nel nostro Paese».
Anche il leader dell’Idv Antonio Di Pietro ne ha per tutti: «La riforma della Rai resta un miraggio perchè nessuna discussione è stata aperta sulla riforma dei meccanismi di nomina dei vertici aziendali. Il governo tecnico, quello che diceva di tirare dritto senza guardare in faccia nessuno, ha alzato le braccia e si è arreso a Berlusconi e ai suoi interessi, senza toccare il potere che il Pdl, azionista di maggioranza dell’esecutivo, detiene nell’informazione e nell’industria culturale televisiva. Insomma, la Rai ha perso l’ennesima occasione per disintossicarsi dalla dipendenza dai partiti, dal governo e dai conflitti d’interesse».
Fonti: La Repubblica | Asca | MF-DJ
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