La storia di Premium infatti è sempre stata un’affannosa rincorsa per raggiungere la tv satellitare di Rupert Murdoch: dalla pay-per-view all’abbonamento sino all’offerta sulla piattaforma Internet e mobile, il Biscione a cercato di fronteggiare lo strapotere di Sky, anche con mosse a dir poco scorrette. Oggi Mediaset può contare però su 3 milioni di utenti pay, ma solo 2 milioni di abbonati (contro i 4,8 di Sky) sui quali poter costruire un’offerta e calcolare budget per acquisire diritti, l’ultimo milione sono le residue carte prepagate che andranno a scomparire. Sta di fatto che Premium ancora oggi produce perdite. Nel 2011 ha registrato 70 milioni di perdite, e secondo alcuni rumors di stampa, le perdite potenziali accumulate dal settore della pay-tv sarebbero intorno a 270 milioni di euro. Una strategia di recupero di sostenibilità dell’asset c’è ed è in corso, ed è stato avviata la ricerca di un partner industriale. Ma il problema è che non si sa se e quando darà risultati. E’ una corsa contro il tempo perché il resto del mercato non sta fermo e soprattutto si profila l’invasione dei big della Rete , i cosiddetti Over The Top.
Mercoledì scorso Netflix ha siglato un’intesa con Disney per la distribuzione dei suoi contenuti. E si intensificano le voci che vogliono entro la prima metà del prossimo anno lo sbarco anche in Italia di una Amazon Tv, anche se da Amazon Italia non trapela nulla. Se i giganti della Rete iniziano a fare incetta di diritti di film e serie tv da distribuire via banda larga la partita si fa dura, afferma Carli. Ma nel nostro paese dei cachi, afflitto dal grave morbo del digital divide, lo sbarco dei colossi di Internet non sarà così semplice.
Insomma, Mediaset e Rai perdono spot mentre il resto del mercato invece cresce. Sarà pure una crescita lenta, con numeri ancora relativamente piccoli, ma il lavoro ai fianchi del vecchio duopolio procede incessante e guadagna terreno. Continua a crescere La7, anche se più lentamente. E crescono soprattutto i nuovi canali digitali: è dunque una crisi selettiva. E’ in questa situazione di incertezza che i protagonisti del mercato stanno cercando nuove soluzioni. Anche in questo caso è Sky a manifestare le scelte più innovative. E proprio in tema di distribuzione via Web. In casa Murdoch si sta iniziando a mettere Internet in primo piano e non solo come complemento dell’offerta maggiore, via satellite. Per ora solo in Gran Bretagna, nel laboratorio BSkyB si possono adesso comprare i programmi di Sky via Internet, per vederli su tablet, smartphone e pc anche se non si ha un abbonamento tradizionale. Una formula a cui Sky Italia smentisce di pensare («Business model troppo diversi rispetto all’Inghilterra »), dato l’alto divario digitale tecnologico e culturale del paese.
Seguendo le cifre dell’analisi di It Media la novità emerge con chiarezza. «Al 2014 l’andamento del mercato della pay-tv in Italia mostra tendenze apparentemente contrastanti – spiega ancora Preta – I ricavi da pay su satellite, quindi Sky, saranno in calo di quasi 50 milioni; quelli della pay terrestre, ossia Mediaset Premium, saranno cresciuti di 100 milioni, che in questo caso valgono relativamente molto di più perché rappresentano un incremento del 20%. Ma i numeri vanno letti. E se i 50 milioni in meno di Sky sono poca cosa rispetto a una base di 2,4 miliardi (peraltro compensati da altri ricavi), i 100 in più di Mediaset rappresentano l’arrivo a regime di un Arpu più vicino all’attuale livello base dell’abbonamento di 24 euro al mese al netto di ogni tipo di promozioni e sconti. Incrociando i dati, questo vuol dire che le prospettive di qui a due anni prevedono che Sky dovrebbe riuscire a mantenere la sua redditività media mensile per abbonato attorno ai 40 euro, e quindi continuare a navigare in acque relativamente tranquille. Mediaset, una volta portato l’Arpu attorno ai 20 euro, potrebbe iniziare a coprire i costi. Ma il ritorno degli investimenti è ancora lontano». Di crescere dunque non se ne parla. Almeno sul livello alto del mercato. Ma possono esserci altre strade. C’è chi è fermamente convinto che ci sia spazio, anche in Italia, per un’offerta di contenuti video tra gli 8 e i 12 euro al mese: niente eventi, niente dirette, una programmazione ragionata tra un palinsesto on demand e la coda lunga di un catalogo da distribuire in pay-per-view, grazie alla banda larga, alle tv connesse e, in misura decrescente, ai decoder.
Secondo le stime di It Media è un mercato che si svilupperà a partire dalla fine del prossimo anno e che quasi triplicherà il suo volume in dodici mesi, arrivando a fine 2014 attorno ai 200 milioni. E’ su questo mercato che puntano già oggi la Cubovision di Telecom e la Chili Tv di Stefano Parisi. Ma è su questo stesso mercato che arriverà Amazon Tv e, quando deciderà di scendere dall’Inghilterra al sud Europa, la stessa Netflix. La sfida di Mediaset è capire in quale parte del mercato vuole collocarsi. E deve farlo in fretta per evitare la marginalizzazione. L’amico Tarak Ben Ammar ha smentito il presunto interessamento su Premium. E non ha contato (almeno sul titolo in Borsa) nemmeno la ridiscesa in campo di Silvio Berlusconi.
Fonte: Affari&Finanza La Repubblica
Matteo Bayre è un esperto di nuovi media e tv digitale, freelance Front Web Developer, SEO Specialist e Web Content Editor. Blogger per passione. Ha una laurea specialistica in Scienze della Comunicazione.
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Non funziona perchè i clienti sono insoddisfatti, spesso pagano a vuoto (me compreso) han perso la fiducia!