La pay-tv di Mediaset è oramai da mesi al centro dell’interesse di analisti e investitori.
Premium, ufficialmente alla ricerca di partner stranieri e nostrani, ha già venduto l’11% delle sue quote al colosso tlc spagnolo Telefonica, e dal primo dicembre, sarà una Spa a sé stante. I rumors dell’ambiente indicano Vivendi, Canal Plus e Al Jazeera come candidati più gettonati, ma potrebbero farsi avanti anche Telecom Italia e Sky, quest’ultima sconfitta nella corsa estiva ai diritti tv sulla Champions League per il triennio 2015-18 (acquistati da Mediaset per ben 700 milioni di euro).
Secondo un’analisi di Bernstein, partita dall’indiscrezione di stampa che ha annunciato l’arrivo di Sky sulla piattaforma del digitale terrestre con un pacchetto di canali in chiaro (poi seccamente smentita), la tv a pagamento di Rupert Murdoch ha lanciato un “messaggio tra le righe” indirizzato al Biscione per valutare una possibile (e clamorosa) cessione della sua pay-tv e considerare quali potrebbero essere i rischi se seguisse un’altra strada.
L’ipotesi lanciata dagli analisti è affascinante, e coincide per molti motivi con il ridisegno delle attività europee di Sky. La piattaforma italiana di Murdoch è infatti avviata a finire sotto lo stesso tetto di BSkyB, ovvero un gruppo che controlla direttamente 23 milioni di abbondati tra Gran Bretagna, Irlanda, Germania, Austria e Italia.
Se tutto il business italiano della tv a pagamento finisse nelle mani di Sky, si verificherebbe sicuramente una concentrazione di mercato come ai tempi di Tele+, ma non si potrebbe escludere un via libera dell’Antitrust italiano, abituato a elargire in questi ultimi vent’anni numerose concessioni. Ma servirà il via libera da parte di Silvio Berlusconi, e anche dell’Antitrust Europeo, che potrebbe apprezzare la formazione di un campione continentale nel settore audiovisivo.
Una possibile fusione tra Sky e Premium limiterebbe, da un lato, il deciso rialzo dei costi per contenuti che si è registrato negli ultimi anni a causa della concorrenza, dall’altro lato, darebbe alla tv satellitare la possibilità di usare il digitale terrestre come un’alternativa a più basso costo, in modo da segmentare il proprio mercato e arginare il futuro sbarco di Netflix.
Qualcosa di importante comunque cambierà a breve. Anche perché a Cologno hanno ben chiaro che, nonostante il mercato pubblicitario sia in calo e si equilibri diversamente la bilancia tra reach e targeting, ancora il 63% della raccolta televisiva finisce nelle casse del Biscione. Il mercato della televisione a pagamento è molto stressato dalla crisi, in Italia. Gli abbonati non arrivano a 7 milioni (sono 4,7 milioni per Sky e meno di 2 per Mediaset Premium), su 23 milioni di famiglie complessive. I margini di crescita ci sarebbero ma mancano le precondizioni per crescere. E il rosso è il colore comune dei conti: più inciso quello di Mediaset Premium, che fattura circa 638 milioni e ne perde 12, più diluito (8 milioni), quello di Sky, nonostante un fatturato da 2,86 miliardi di euro.
L’analisi di Bernstein propone come ipotesi alternativa l’integrazione tra Premium e Telecom Italia, con la partecipazione di Vivendi. E Telecom ha già in mano un accordo proprio con Sky per allargare, con la Ultra broadband, la base degli abbonati in tutti quei centri dove il segnale non arriva ancora. Si parla di un milione di nuovi clienti in cinque anni. Ma un possibile matrimonio con Telecom esporrebbe Mediaset al rischio di affidare a terzi il suo ruolo di anti-Sky, e nello stesso tempo il Biscione potrebbe trovarsi ad affrontare una guerra su larga scala con Sky sul terreno della tv gratuita.
Fonti: Repubblica Affari&Finanza | corrierecomunicazioni.it | Reuters