Pubblicità tv: in arrivo sgravi fiscali. Ma il mercato è ancora bloccato

Nel lontano 2010, in piena era berlusconiana, l’Agcom decise (grazie al doppio voto dell’ex presidente Corrado Calabrò) che il mercato degli spot televisivi, ossia quello più strategico dei media, non è “rilevante“, e non può essere analizzato, nè regolato. Oggi, dopo una crisi senza precedenti, il dominio di Mediaset (con Publitalia che detiene oltre il 60% del mercato), rimane intatto, nonostante la moltiplicazione dei canali col digitale, e soprattutto non controllato dall’Autorità garante per le comunicazioni.

Dopo un calo del 18% negli investimenti pubblicitari tv, le previsioni indicano un rimbalzo nella seconda metà dell’anno che potrebbe contenere il dato di fine anno a un -12,5%. Mediaset per luglio prevede un +3%. Lorenzo Sassoli de Bianchi presidente dell’Upa, l’associazione che riunisce gli investitori in pubblicità, avanza delle proposte come un credito fiscale sugli incrementi degli investimenti in pubblicità e comunicazione. E lancia la proposta-shock: un canale Rai senza pubblicità.

L’Upa ha già proposto una legge (tax credit), con l’appoggio del viceministro dello Sviluppo Economico Antonio Catricalà, che detassa il settore per 700 milioni di euro con incentivi all’incremento dell’investimento pubblicitario anno su anno per i prossimi tre anni. «Il sistema della comunicazione ha perso 3 miliardi di euro negli ultimi 5 anni: da 10 è passato a 7 miliardi di euro. – afferma Lorenzo Sassoli de Bianchi intervistato da La Stampa – Significa posti di lavoro persi, aziende e testate che chiudono. Tutto questo ha un riflesso molto negativo nel lungo termine anche sulla garanzia democratica del Paese. Prima ancora di incentivare i consumi, noi vogliamo salvare il sistema dei media».

L’Upa chiede inoltre un canale della Rai senza pubblicità. «Fa parte di un discorso di riforma complessiva della Rai. Che andrebbe sganciata dalla politica e dalla lottizzazione, con il conferimento a una fondazione. Poi c’è la questione del canone», dichiara Sassoli de Bianchi. «Lo svincolo delle trasmissioni dalla tirannia dell’audience, una maggiore qualità e sperimentazione giustificherebbero il pagamento di un canone obbligatoriamente inserito nella bolletta elettrica. Oggi l’evasione di tale tassa è pari a 600 milioni».

Ma gli interventi ipotizzati andrebbero a ridare ossigeno a un mercato squilibrato, visto che in nessun paese come in Italia gli investimenti sono sbilanciati sulle tv a scapito degli altri media, e in nessun altro mercato gli spot tv sono così concentrati in poche-note mani.

Nel 2010 l’Agcom (con la delibera 555) decise di declassare il mercato tv,  suddividendolo in due, quello della pay-tv e quello in chiaro, invece che creare un mercato per la raccolta pubblicitaria e uno per la tv a pagamento. Sky e Mediaset nel 2011 hanno avuto ricavi per quasi 3 miliardi di euro (2,4 mld per la tv satellitare, 516 milioni per Mediaset Premium, 104 per il resto del mercato pay). Mentre è il mercato della tv in chiaro quello che in Italia produce più profitti: 4,1 miliardi sommati ai 1,6 miliardi di euro del canone Rai.

Non bastano quindi gli incentivi e la minore pressione fiscale, ma servirebbe una riforma delle regole Agcom che suddividono il Sistema Integrato delle Comunicazioni, nato dalla famigerata Legge Gasparri, che vede 5 settori media (due per la carta stampata, un0 per la radio e due appunto per la televisione). Senza un cambio di rotta continueranno a nascere concentrazioni come quella tra Publitalia (storica concessionaria del Biscione) e Digitalia (società per la raccolta dei canali digitali Mediaset), contestate dalla concorrenza (Sky) e condannate da sentenze del Consiglio di Stato, che ingessano ancora di più il mercato e tarpano le ali alla crescita della pubblicità online.

Fonti: lastampa.it | Repubblica Affari&Finanza

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