I giudici del Consiglio di Stato hanno sentenziato che la legge sulla par condicio televisiva va rifatta. E nel caso in cui venga approvata una nuova (orribile) legge elettorale consigliano al Parlamento di dotarsi un nuovo regolamento per le pari opportunità in tv (ma solo per i politici) che si concentri più sulla qualità che sulla quantità di minuti concessi ai rappresentanti delle istituzioni e dei partiti.
La nuova legge, nata ahimè 14 anni or sono, dovrà valutare lo stile di conduzione dei giornalisti e dei presentatori più che contare quanti minuti e secondi si accaparrano i vari personaggi politici. Il suggerimento alla politica nasce da due sentenze (la 06066 e la 06067 del 2014) che assolvono sia Fabio Fazio sia Lucia Annunziata dall’accusa di aver violato l’assurda e anacronistica legislazione in vigore, come invece sosteneva Renato Brunetta, di Forza Italia, oramai autoproclamato rompiballe della tv pubblica.
Brunetta mise sotto accusa il programma Che tempo che fa di Fazio perché, a suo parere, tra settembre 2012 e maggio 2013, mostrò al pubblico i rappresentati di un solo partito, o quasi, cioè il Pd. E lo stesso fece In ½ ora Lucia Annunziata. Il fido paggetto di Berlusconi vinse un primo round davanti all’Agcom, che notoriamente non brilla di imparzialità politica, che nel 2013 ordinò alla Rai di riequilibrare lo status quo in entrambi i programmi. Il riequilibrio (secondo le delibere 476 e 477) sarebbe dovuto avvenire con la nuova stagione tv entro un massimo di sei mesi. Ma la televisione di Stato, difesa dagli avvocati Saverio Sticchi Damiani e Salvatore Lo Giudice, è ricorsa alla giustizia amministrativa dove alla fine ha vinto per due volte: in primo grado al Tar e ora davanti al Consiglio di Stato.
Secondo i giudici, quindi, contare i secondi assegnati a un politico o a un partito non ha senso perché il dato aritmetico non è sempre significativo. Il giornalista può anche invitare parlamentari tutti di un colore e rispettare la par condicio sul piano formale. Ma «pesanti critiche, osservazioni sarcastiche e domande scomode » avrebbero comunque l’effetto di «peggiorare la percezione di questi politici da parte dell’opinione pubblica ». La par condicio, nella sostanza, sarebbe violata. La nuova legislazione, dunque, dovrebbe concentrarsi molto di più sulle «modalità di conduzione dei programmi». Non solo. Il Consiglio di Stato afferma che il pluralismo di un editore (come la Rai) non si può giudicare da una sola trasmissione (soprattutto quando questa è un misto di comicità e informazione, come Che tempo che fa). Non bisogna «isolare atomisticamente singoli programmi», quindi sarebbe più opportuno «guardare semmai al complesso dell’offerta del servizio pubblico».
Fonte: La Repubblica