Si fa sempre più intricata la vicenda dell’asta delle frequenze tv. I broadcaster tv (per ultima Prima Tv di Tarak Ben Ammar) si schierano apertamente contro le regole del governo e delle Authority sulla gara che assegnerà la banda 700 MHz alle compagnie telefoniche.
Entro 4 anni le tv saranno obbligate a liberare le frequenze sulla banda 700 MHz, che saranno assegnate in un’asta pubblica entro quest’anno alle telco per l’uso della tecnologia 5G. Tutto il sistema del digitale terrestre italiano, che oggi viaggia su 30 frequenze, dovrà restringersi in metà spazio: solo 15 frequenze.
La riduzione di banda disponibile verrà ammortizzata dall’introduzione di nuove tecnologie di trasmissione televisive come il DVB-T2 in grado di comprimere di un terzo i segnali tv digitali (rispetto all’attuale DVB-T in uso).
Il processo di transizione e gli indennizzi per la liberazione dello spettro elettromagnetico però non sono di gradimento ai broadcaster che hanno dichiarato guerra al governo e all’Agcom a colpi di ricorsi. Dieci giorni fa infatti Mediaset e Cairo Network (La7) sono ricorsi davanti al Tar per bloccare l’intero processo. E a breve si unirà alla contestazione anche Tarak Ben Ammar, magnate franco-tunisino titolare di Prima Tv.
In gioco ci sono i 1,2 miliardi di euro che il governo stima di incassare dalla vendita delle frequenze per il 5G, la banda ultralarga mobile. L’asta terminerà in autunno e le telco chiedono rassicurazioni sullo svolgimento della gara.
Le tv invece chiedono un accordo e un compromesso al neoministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio per ottenere una fetta di questi ricavi. Gli operatori di rete, come Ei Towers (Mediaset), Rai Way (Rai), Cairo Network, DFree (Prima Tv), Persidera (Gedi-TIM) che detengono le concessioni delle frequenze per trasmettere i canali tv, dovranno sostenere alti costi per abbandonare la banda 700.
Ma l’adozione della tecnologia del nuovo digitale terrestre (DVB-T2) nei soli 15 multiplex rimanenti non garantirà spazio per tutti, almeno secondo i calcoli. Troppo frequenze sono occupate da Mediaset, Rai e altri operatori, e pare che tutti i canali presenti ora a livello nazionale sulla banda disponibile non potranno essere trasmessi a partire dal 2022.
Nel nuovo assetto dell’etere, visto che lo spazio si dimezza, e che invece le frequenze non si possono suddividere, si è pensato bene di cambiare i termini giuridici delle concessioni: non si concedono più frequenze ma capacità di trasmissione. Chi ha una sola frequenza, come Cairo, Prima Tv, Wind 3, Europa 7 di Francesco Di Stefano o la Rete Capri di Costantino Federico, si troverà in mano qualcosa di meno concreto.
Oggi c’è un operatore di rete per ogni frequenza. Una frequenza è gestita da un apparato che può suddividere il segnale in più porzioni. Ma con la metà dei canali a disposizione nel prossimo Piano Nazionale delle Frequenze (forse varato questa settimana dall’Agcom) si dovrà capire chi gestirà un multiplex (frequenza) in condivisione e chi invece ne verrà escluso. Il passaggio al DVB-T2 potrà mettere a rischio quindi il business delle tower company.
Per trovare le risorse frequenziali necessarie per le tv nazionali servono quindi altre frequenze: ad esempio quelle ora utilizzate (ma spesso non sfruttate appieno) dalle tv locali. Le frequenze delle emittenti locali anche se limitate nel loro raggio di azione potrebbero essere usate per veicolare i canali nazionali. Per questo il governo Gentiloni aveva messo in Legge di Stabilità ulteriori stanziamenti per la rottamazione di queste frequenze.
La stessa Legge di Stabilità ha fissato il budget complessivo per l’intera operazione DVB-T2 in circa 700 milioni in quattro anni. In sintesi: oltre 200 milioni per le emittenti nazionali per i costi di trasformazione e aggiornamento degli impianti; oltre 300 milioni per gli incentivi alla rottamazione delle frequenze; 100 milioni sono stanziati per agevolare l’acquisto di decoder da parte di utenti i cui televisori di vecchia generazione non siano in grado di ricevere i nuovi canali in T2; infine circa 60 milioni a disposizione del Mise per costi di organizzazione della transizione tecnologica.
All’interno dei 300 milioni previsti per la rottamazione delle frequenze locali il progetto prevede il trasferimento delle tv locali nei multiplex di Rai Way. La tv pubblica, che dovrebbe scendere da 5 a 2,5 mux usati, metterebbe a disposizione una parte della sua capacità trasmissiva per le emittenti locali sulla banda VHF che ad oggi però è poco ricevibile dalle antenne delle case degli italiani.
Oggi la legge impone di riservare un terzo dello spettro alle emittenti locali. Con il riassetto della banda 700, le 5 frequenze delle tv locali potrebbero essere ridotte e scendere a 3, forse anche a solo 2, garantendo molto più spazio per le nazionali ed evitando l’uso della banda VHF già scartata in passato. Per questi motivi i broadcaster chiedono più soldi e annunciano battaglie in tribunale.
Si attende invece una data per lo Switch-off del nuovo digitale terrestre DVB-T2 che potrebbe essere graduale e meno traumatico del prima passaggio al dtt.
Fonte: Repubblica Affari&Finanza