Beauty Contest: tutte le favole di B. sulle frequenze del digitale terrestre

Da un articolo di Alessandro Longo su espresso.repubblica.it del 12/12/2011:

Non è vero che all’estero non sono state pagate o che l’asta andrebbe deserta. E non è vero che Mediaset non c’entra: anzi, è il nodo della questione. Storia di (almeno) un miliardo di euro che lo Stato potrebbe incassare subito se il Cavaliere non volesse privilegiare le sue tv.

Per Silvio Berlusconi e il Pdl è la partita di potere più importante all’interno del nuovo governo. Per gli italiani è invece la possibilità di avere un miliardo di euro extra, per le casse dello Stato, alleggerendo i sacrifici della manovra. E, come spesso accaduto negli ultimi anni, questi due interessi sono contrapposti. Si tratta dell’affare bollente delle frequenze liberate con il passaggio alla tv digitale terrestre: l’Italia sta per assegnarle gratis ai soliti noti delle tv, Rai e Mediaset in primis, come voluto dal precedente governo. Quello nuovo al momento prende tempo, schiacciato tra due fuochi: da una parte il Pdl vuole lasciare il regalo così com’è; gli altri gruppi politici invecevorrebbero che quelle frequenze siano oggetto di un’asta a pagamento (Pd e la Lega lo chiedono anche con emendamenti alla manovra; il Pd ci aveva tentato anche durante la precedente legislatura).

«E’ un dossier delicato. Stiamo approfondendo», si è limitato a dire la settimana scorsa Corrado Passera il ministro allo Sviluppo economico, a cui spetta assegnare le frequenze, tramite procedura detta di “beauty contest” (“concorso di bellezza”). Prende tempo, appunto, anche se il tempo sta correndo via veloce: dalla commissione ministeriale che sta valutando le domande delle tv per il beauty contest, fanno sapere che ritengono di poter concludere il lavoro entro dicembre. A quel punto il governo non avrà più scelta e dovrà decidere: «se concedere il favore al Pdl oppure ascoltare tutti gli altri e gli interessi del Paese», riassume Paolo Gentiloni (Pd). Al beauty contest partecipano Rai, Mediaset, Telecom Italia e quattro piccoli gruppi, visto il recente ritiro di Sky («tempi poco chiari e regole discutibili»). Il regalo fa gridare allo scandalo perché quelle stesse frequenze (800 MHz) lo Stato le ha appena aggiudicate per 3 miliardi di euro agli operatori mobili, i quali le utilizzeranno per lanciare la rete di quarta generazione (LTE).

A questo punto il Pdl e i suoi partigiani al solito obiettano: «sì, ma nessun Paese europeo ha fatto pagare per quelle frequenze». E’ una verità distorta. In realtà, «negli altri Paesi – Francia, Regno Unito – le cose con la tv e le frequenze vanno molto diversamente e bisognerebbe cominciare a prenderli come esempio», dice Antonio Sassano, docente alla Sapienza e padre dell’attuale piano frequenze dell’Agcom (Autorità garante delle comunicazioni, di cui è consulente). E’ vero, non ci sono state aste. Ma nemmeno regali come quello che l’Italia sta per fare. «Nessun altro Paese lo Stato ha assegnato gratis le frequenze alle emittenti tv. In Francia ha dato un diritto d’uso temporaneo a operatori di rete, che poi le usano per ospitare i canali dei fornitori di contenuti. Nel Regno Unito c’è addirittura una figura intermedia, il gestore del multiplex, che si occupa delle frequenze», aggiunge. Principale grossa differenza, in pratica: altrove in Europa non è un regalo perché chi gestisce le nuove frequenze del digitale terrestre non le possiede. E’ un usufrutto temporaneo; lo Stato può riprendersele. Il nostro beauty contest prevede invece la possibilità di rivendere fra cinque anni quello che le emittenti stanno per avere gratis. Perpetua così una tradizione tutta italiana secondo cui si può vendere una risorsa – lo spettro di radio frequenza – che invece appartiene alla comunità (di fatto, le frequenze sono l’aria intorno a noi). Le emittenti nostrane hanno sempre fatto commercio di frequenze con l’analogico e il governo Berlusconi si è premurato di conservare la stessa anomalia con il digitale.

Insomma, il mondo cambia, le innovazioni e la banda larga rivoluzionano il panorama, l’Europa lotta contro la rovina, ma si vorrebbe lasciare lo stesso sistemi di regali a favore delle emittenti. Per di più, è un regalo doppio. Non solo perché sono frequenze gratis, ma anche perché sono concentrate sulle solite grosse emittenti, che ne avranno anche più di quanto sarebbe necessario e opportuno. Pur di dare più frequenze possibili alle tv, il governo Berlusconi ne ha tolte alle emittenti locali, per poterle assegnare all’asta agli operatori mobili. Le locali dovrebbero liberarle entro dicembre 2012 ed è ancora possibile che vi si oppongano, ostacolando così la nascita di una rete di quarta generazione (utile alla diffusione della banda larga). Insomma, tanti danni (alle casse dello Stato, all’innovazione, all’arrivo di nuovi entranti anche nel mondo televisivo, come Sky) solo per fare regole congeniali ai vecchi nomi della tv.

One thought on “Beauty Contest: tutte le favole di B. sulle frequenze del digitale terrestre

  1. ormai sono dei dinosauri della comunicazione, posto un articolo trovato in rete:

    27 maggio 2012. Niente è per sempre, o meglio, in questo caso, nada es para siempre. Mediaset potrebbe cedere Mediaset España e affidarla al miglior offerente. Dopo anni di gloriosa attività in terra iberica, che hanno portato l’emittente Telecinco a diventare il canale più visto in Spagna, Fininvest potrebbe decidere di liquidare la sua posizione sul mercato spagnolo. Ora o mai più, questo il senso di quella che potrebbe essere una storica decisione della holding della famiglia Berlusconi.
    La rivoluzione digitale marcia a ritmi impensabili fino a poco fa e se Mediaset intende restare tra i leader internazionali della comunicazione di massa, deve rafforzare la sua posizione sui nuovi mezzi e adeguarsi alle nuove abitudini degli utenti. Per realizzare questo obiettivo, ormai è chiaro, bisogna ridimensionare drasticamente i costi e allo stesso tempo investire nel posizionamento dei contenuti digitali e dei prodotti pubblicitari.
    Ai prezzi attuali, Mediaset España vale circa 1.500 milioni di euro: una capitalizzazione che, visti gli scenari del mercato pubblicitario, dell’audience e della tecnologia audiovisiva, potrebbe rischiare di aver spazio solo in discesa. Vendere la partecipazione del 40% posseduta nella società spagnola (percentuale ridotta in seguito all’acquisizione del canale Cuatro e all’ingresso nell’azionariato del gruppo Prisa) significherebbe per Mediaset Italia partire da una richiesta base di 600 milioni di euro per la cessione. La cifra, rapportata alle quotazioni di anni fa, sembra irrisoria, ma potrebbe essere gigantesca rispetto a quanto potrebbe capitalizzare in futuro un’azienda con margini di crescita molto ridotti nel suo settore primario e legata principalmente a un Paese in crisi e che sta cambiando.
    La Spagna è tra i paesi più in difficoltà della zona Euro. Le percentuali di disoccupazione sono a doppia cifra e gli investimenti pubblicitari riflettono una tendenza di crisi sempre più accentuata. Inoltre la situazione socio-politica è in continua evoluzione, animata dalle spinte autonomistiche e indipendentiste e da una crisi politica e istituzionale senza precedenti. Non è più assurdo ipotizzare la fine della Monarchia costituzionale dopo Juan Carlos II: gli scandali dei membri della famiglia reale, che hanno riguardato anche lo stesso monarca, non sono altro che la goccia di un vaso che trabocca ormai da anni. Gli spagnoli hanno abbandonato molte delle loro specificità; basti pensare alla proibizione in Catalunya delle corride di tori. I giovani spagnoli si sentono partecipi dell’Europa, sono tra gli europei che più viaggiano e hanno messo in pratica più di tutti l’indignazione. Ciò sta portando a rapidi cambiamenti dell’intera società spagnola: in questo scenario Telecinco, considerato da molti di contenuti bassi e popolari, rischia di trovarsi con un bacino d’utenza molto ridotto.
    La situazione specifica spagnola, aggiunta ai cambiamenti nella fruibilità dei contenuti audiovisivi, potrebbe indurre Fininvest, il maggior azionista del gruppo mediatico, a valutare la vendita della controllata spagnola.
    Come una clessidra, l’affare spagnolo potrebbe diluirsi con il tempo e Mediaset potrebbe avere adesso l’ultima opportunità di fare cassa. In effetti, in molti sono a Cologno Monzese a spingere per l’idea che l’utenza gestita dalle reti televisive, prima o poi, possa essere raggiunta solo, o almeno principalmente, con la rete. Ed è lì che bisogna investire. Gli introiti derivanti dalla vendita potrebbero essere, così, destinati all’acquisizione di risorse digitali o di partecipazioni in gruppi .com già affermati, da cui lavorare per creare mercato ai contenuti targati Mediaset.
    La partecipazione in Mediaset España potrebbe essere offerta a gruppi spagnoli, legati al bacino d’utenza di Telecinco per fini socio-politici, o a investitori stranieri, tra i quali russi e arabi, attivi in Spagna e che potrebbero essere interessati a un gruppo mediatico con cui gestire comunicazione e relazioni riguardo le loro attività in Spagna. Il titolo Mediaset España ha chiuso venerdì con un rialzo del 4,11%, Mediaset Italia ha ceduto lo 0,46%.

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