Corte Ue boccia le norme sul passaggio al digitale terrestre in Italia

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La Corte di Giustizia Ue con due sentenze boccia l’assegnazione delle frequenze italiane nel passaggio al digitale terrestre. Sono state favorite Rai e Mediaset.

La norme italiane sul passaggio dal sistema analogico al digitale terrestre per le trasmissioni televisive «vanno riviste» dice la Corte europea. Una sentenza riguarda la causa con cui le società Europa Way e Persidera hanno chiesto l’annullamento della gara per l’assegnazione del dividendo digitale. Nell’altra Persidera ha contestato la decisione con la quale le è stata assegnata una sola frequenza digitale in cambio di due analogiche. Per la Corte il sistema di attribuzione viola il diritto europeo.

Sul caso dell’assegnazione delle frequenze (multiplex) durante lo Switch-off pende tuttora per l’Italia una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea nel 2006.

Le due cause sono state portate all’attenzione della Corte di giustizia Ue dal Consiglio di Stato che, vista l’importanza dei temi in discussione e delle conseguenze economiche che deriveranno dalle decisioni dei giudici, ha chiesto alla Corte europea di esprimersi in via pregiudiziale per sapere se le norme nazionali che hanno governato il passaggio dal sistema analogico a quello digitale siano compatibili con il diritto dell’Ue.

In particolare, è stato chiesto ai giudici europei di indicare se le norme sull’assegnazione onerosa delle nuove frequenze digitali e per la conversione in digitali di quelle analogiche siano in linea con le disposizioni Ue in materia di autorizzazioni, libera concorrenza e con i principi di non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pluralismo dell’informazione.

Con la sentenza sulla prima causa intentata da Persidera (operatore di rete costituito da Telecom Italia Media Broadcasting e Rete A, società del gruppo l’Espresso, ora Gedi) la Corte ha stabilito che «la normativa italiana sull’attribuzione delle nuove frequenze è contraria al diritto Ue». E ha invitato i giudici nazionali a verificare se agli operatori preesistenti (Rai e Mediaset) sia stato attribuito un numero di radiofrequenze superiore a quello strettamente necessario alla continuità dei loro programmi.

Nella seconda decisione odierna, la Corte ha osservato che il criterio di conversione da analogico a digitale «ha in concreto svantaggiato Persidera» ed è quindi «oggettivamente discriminatorio». Ma rileva pure che «una simile discriminazione può essere giustificata se costituisce l’unico modo possibile per perseguire obiettivi legittimi di interesse generale», una condizione che spetta ai giudici italiani verificare.

L’assegnazione dei Mux era stata suddivisa in tre gruppi. In un primo gruppo sono stati collocati i multiplex riservati alla trasformazione delle reti televisive analogiche preesistenti in reti televisive digitali. Un secondo gruppo riguarda i multiplex da assegnare a operatori di rete che hanno investito nella creazione di reti digitali. Un terzo gruppo concerne le nuove frequenze supplementari, cioè il cosiddetto «dividendo digitale».

Per quanto riguarda il terzo gruppo di frequenze, l’Agcom provò nel 2012 ad assegnare i multiplex con un gara a beauty contest, poi sospesa e definitivamente annullata dal MISE. Nel 2013, dopo numerosi ricorsi, l’Authority per le comunicazioni deliberò l’adozione di una gara onerosa per le frequenze con base d’asta fissata per ogni lotto a 30 milioni di euro. In tale delibera di gara onerosa venne, tra l’altro, ridotto da cinque a tre il numero dei nuovi multiplex digitali da assegnare e venne sancita l’esclusione dalla gara degli operatori di rete già in possesso di tre o più multiplex. Alla gara ha partecipato un solo concorrente, la società Cairo Network (titolare de La7) che si aggiudicò il Lotto 3 (canali 25 e 59) e i diritti d’uso delle relative frequenze nel 2014.

Per quanto riguarda la transizione dall’analogico al digitale delle frequenze dei primi due gruppi, l’Agcom, per ovviare ad una censura sollevata dalla Commissione nel quadro della procedura di infrazione, decideva di abbandonare il criterio di conversione originariamente previsto, detto “alla pari” (in base al quale a una frequenza analogica detenuta da un operatore doveva corrispondere una frequenza digitale), rispetto a Rai, Mediaset e Telecom Italia Media (ora Persidera) e ha invece stabilito di ridurre di una unità le frequenze analogiche che detenevano tali società.

Dopo l’applicazione di questo criterio, quindi, Rai e Mediaset, inizialmente titolari di tre frequenze analogiche, hanno avuto due frequenze digitali, mentre Persidera S.p.A., inizialmente detentrice di due frequenze analogiche, ha ottenuto una sola frequenza digitale. Ai fini della conversione dall’analogico al digitale, quindi, non si è seguito un criterio proporzionale nella diminuzione numerica delle frequenze e, inoltre, il numero di partenza delle frequenze analogiche è stato determinato tenendo conto anche di quelle utilizzate dalla Rai e da Mediaset in violazione del diritto della concorrenza (in particolare, Rai 3 e Rete 4).

Il Consiglio di Stato ha deciso di sottoporre alla Corte di giustizia una serie di questioni tendenti, in ultima analisi, a stabilire se le regole nazionali:

– di assegnazione onerosa delle nuove frequenze digitali o dividendo digitale

– e di conversione delle frequenze analogiche in frequenze digitali

siano compatibili con il diritto dell’Unione, in particolare con la direttiva quadro, con la direttiva autorizzazioni, con la direttiva concorrenza e con i principii di non discriminazione, trasparenza, libera concorrenza, proporzionalità e pluralismo dell’informazione.

Con le sentenze odierne, la Corte di giustizia ha posto alcuni punti fermi.

Causa sul dividendo digitale

La Corte rileva che il Ministero per lo Sviluppo economico e il legislatore italiano non erano competenti, ai sensi del diritto dell’Unione, a sospendere e ad annullare il beauty contest indetto dall’Agcom: sia il Ministero sia il legislatore hanno influito sul corso del procedimento dall’esterno e sulla scorta di mere considerazioni di natura politica, così violando l’indipendenza di tale autorità di regolamentazione. Per tale ragione, la normativa italiana sull’attribuzione del dividendo digitale è contraria al diritto dell’Unione.

In secondo luogo, la Corte evidenzia che lo Stato membro è libero scegliere, nell’attribuzione delle radiofrequenze, procedure di selezione gratuite od onerose, purché garantisca l’utilizzo di criteri oggettivi, trasparenti, non discriminatori nonché proporzionati e conformi agli obiettivi di promozione della libera concorrenza e dell’ingresso nel mercato televisivo di nuovi operatori, di sviluppo del mercato interno e di sostegno all’interesse dei cittadini dell’Unione al pluralismo dell’informazione.

Quanto alla promozione della concorrenza e al rispetto del principio di proporzionalità, la Corte osserva che l’eventuale corrispettivo economico previsto per l’assegnazione delle radiofrequenze deve essere equo e riflettere, in particolare, il valore di utilizzo delle radiofrequenze. Se l’attribuzione dovesse passare attraverso un’asta, il prezzo base non dovrebbe essere troppo alto, tale da scoraggiare i nuovi operatori.

Quanto al principio di non discriminazione, la Corte precisa che gli operatori presenti sul mercato possono legittimamente godere di un trattamento diverso da quelli nuovi alla luce della necessità di assicurare la continuità dell’offerta televisiva e la valorizzazione degli investimenti già effettuati nella tecnologia digitale. I due tipi di operatori, quindi, non si trovano in una situazione analoga, sicché una loro eventuale differenza di trattamento non costituirebbe una discriminazione illegittima.

Per la Corte, è astrattamente legittima la riduzione delle frequenze disponibili per il dividendo digitale (come si è detto, con la gara onerosa si sono avuti due multiplex in meno, da cinque a tre, rispetto al beauty contest) se la stessa serve ad evitare interferenze dannose. Tuttavia, la Corte invita il giudice nazionale a verificare se agli operatori preesistenti sia stato attributo un numero di radiofrequenze superiore a quello strettamente necessario alla continuità dei loro programmi: se questo fosse il caso, il numero di radiofrequenze attribuite ai preesistenti operatori andrebbe diminuito e messo a disposizione dei nuovi operatori, quindi del dividendo digitale.

Infine, la Corte evidenzia che l’annullamento del beauty contest non ha comportato, di per sé, la violazione del principio di tutela del legittimo affidamento: infatti, i partecipanti alla gara non potevano nutrire, per il solo fatto della partecipazione, alcun legittimo affidamento sull’esito del procedimento.

Causa sul passaggio dall’analogico al digitale

Nella seconda causa si discute della situazione della Rai, di Mediaset e di Persidera con riferimento all’assegnazione dei multiplex del primo gruppo. Essi dovevano essere attribuiti unicamente ad operatori di rete che già in precedenza detenevano canali televisivi analogici. A tutti gli operatori di canali televisivi analogici in Italia è stato applicato lo stesso metodo di conversione per l’attribuzione dei canali digitali, descrivibile con l’operazione algebrica:

[canali analogici già posseduti] – 1

La Corte, senza entrare nel merito della questione, prende atto che il Consiglio di Stato ha riferito che, tra i canali analogici già posseduti, alcuni erano utilizzati in violazione delle regole della concorrenza (Rai 3 e Rete 4). Se davvero così fosse, l’attuale redistribuzione delle frequenze digitali sarebbe incompatibile con il diritto dell’Unione.

La Corte stabilisce poi che il suddetto metodo di conversione ha in concreto svantaggiato Persidera, la quale, diversamente dai due grandi operatori Rai e Mediaset, diffondeva fino a quel momento non tre bensì solo due canali televisivi analogici. Rai e Mediaset hanno infatti fruito di un tasso di conversione pari al 66,67% (ricevendo 2 multiplex ciascuna contro i tre canali analogici precedentemente posseduti) mentre Persidera ha avuto un tasso di conversione soltanto del 50% (ricevendo 1 multiplex contro i due canali analogici prima posseduti).

In tal modo, i due leader del mercato hanno ottenuto, rispetto al numero dei canali televisivi analogici già posseduti, più frequenze digitali dei loro concorrenti minori. Tale criterio di conversione è quindi oggettivamente discriminatorio. Tuttavia, la Corte rileva che una simile discriminazione può essere giustificata se costituisce l’unico modo possibile (ciò che il giudice nazionale dovrà verificare) per perseguire obiettivi legittimi di interesse generale, ad esempio per garantire la continuità dell’offerta televisiva.

Anche con riferimento a questa causa, la Corte demanda al giudice nazionale di verificare se l’assegnazione di un unico multiplex digitale a ciascuno dei due maggiori operatori non sarebbe già stata sufficiente a consentire alla Rai e a Mediaset la prosecuzione della loro offerta televisiva. Una fornitura in eccesso a favore dei due leader del mercato, ossia Rai e Mediaset, sarebbe infatti contraria al principio di proporzionalità. In proposito, la Corte constata che un multiplex digitale permette la trasmissione di 5 o perfino 6 canali con qualità di trasmissione identica a quella della trasmissione analogica oppure la trasmissione di tre canali digitali in alta definizione.

Fonti: Ansa | Agenparl

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