ROMA – Michele Santoro ha quasi deciso. La sua nuova trasmissione in onda dal 3 novembre sulla rete di tv locali, sul Web (sul sito ufficiale del programma, su quello di repubblica.it, del corriere.it e del Fatto), e su Sky «si intitolerà Servizio pubblico», ha dicharato oggi il popolare presentatore a 24 Mattino su Radio 24. Non più Comizi d’amore, come dedica al grande regista e scrittore Pier Paolo Pasolini, dunque? «La sensazione che prevale è quella di intitolarla Servizio Pubblico – ha confermato Santoro -. Oggi scioglieremo questo dubbio. Servizio pubblico sta avendo un grandissimo successo, ma l’intenzione di fare un omaggio a Pasolini rimane e quindi qualcosa faremo».
Santoro poi ha parlato della tv in Italia, a cominciare dalla Rai: «Dirmi che non mi rivedrete più in Rai mi sembra una maledizione. Ciò che stiamo facendo è anche un atto d’amore nei confronti del servizio pubblico. L’ho detto e lo confermo, io sono della Rai ma non potevo continuare a lavorare contro la volontà del mio editore. Io non solo dovevo lavorare e fare profitti ma poi dovevo difendermi coi miei soldi dalle aggressioni che l’azienda mi faceva, usando i soldi che noi stessi avevamo portato nelle loro casse. Un paradosso insopportabile. Era uno stress psicologico enorme».
Santoro poi ha approfittato della vicenda della sua mancata firma con La7 per parlare di libertà di stampa: «Solo in Italia si considera la politica arbitro dell’informazione. La prima cosa da fare per rendere l’Italia un Paese normale è allontanare i politici dall’informazione. Finché noi giornalisti non ci indigneremo per questo vuol dire che saremo in una condizione di semilibertà. Con La7 al momento dell’accordo è venuta fuori una richiesta di poter sottoporre ogni nostra azione della trasmissione a verifiche del loro ufficio legale. Questo in violazione dei contratti che tutelano l’autonomia dei giornalisti».
E all’osservazione del conduttore che gli ha chiesto di giudicare gli altri giornalisti che accettano le regole del gioco Santoro ha replicato: «Gli altri sono giornalisti che cercano di svolgere il loro lavoro al meglio. Io posso permettermi di ribellarmi a condizionamenti che tutti i giornalisti subiscono in Italia, sanno benissimo di subirli ma non hanno la forza di portare in piazza questi elementi universalmente noti. Ma il problema esiste, io mi posso permettere grazie alla mia popolarità e alla mia età di affrontare un’avventura diversa. Io ci provo a forzare una situazione che tutti conoscono, che non ci lascia esprimere liberamente. Io lo faccio anche per gli altri, anche coloro che accettano questa situazione». (Ansa)
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