Il 28 marzo scade l’attuale Consiglio di amministrazione della Rai. Entro i primi giorni di dicembre bisogna decidere l’importo del canone Rai per il 2012. Il Tesoro si deve impegnare a rispettare – tutto lascia pensare che lo farà – il versamento del canone pagato dagli abbonati (dopo la sospensione a settembre), pena una crisi di liquidità del servizio pubblico con ricadute sulle tredicesime dei dipendenti.
Il sistema televisivo e quello dell’informazione, a partire dalla Rai, rappresentano una delle maggiori incognite per il governo Monti. Il vertice della Rai, una volta scaduto, può restare al suo posto in prorogatio. È questa una scelta che non dispiace al Pdl, considerando gli attuali rapporti di forza in azienda. Difficile, però, che i partiti che fanno parte della nuova maggioranza – Pd, Udc e Terzo Polo – accettino una prorogatio che arrivi al termine della legislatura. Vorrebbe dire accettare una campagna elettorale caratterizzata da una forte predominanza del Pdl in due dei tre Tg nazionali della Rai (anche in caso di sostituzione di Augusto Minzolini al Tg1), oltre al Gr Rai e non solo.
Tanto più che il 9 maggio scadrà anche l’attuale Autorità per le comunicazioni (Agcom). Nove membri, otto nominati dal Parlamento e il presidente direttamente dal governo: tra le altre sue competenze, il controllo sulla par condicio anche in campagna elettorale. Un’altra partita non facile per l’esecutivo e qui la prorogatio non è prevista.
Per il Cda Rai c’è una triplice ipotesi. La prima, appunto, è quella della prorogatio. La seconda è il suo rinnovo con l’attuale legge, la Gasparri. La terza, più difficile, è un cambiamento delle regole di nomina del vertice, ad esempio con la figura dell’amministratore delegato (su cui c’è qualche assaggio d’intesa tra i maggiori partiti), magari inserendole in un provvedimento come fu in passato il “salva-Rai“, in caso di forte difficoltà dell’azienda.
Secondo la Gasparri, la Vigilanza nomina sette consiglieri su nove: quattro spettano alla maggioranza, tre all’opposizione. Qui le cose si complicano: qual è la maggioranza e quale l’opposizione? Quelle attuali o quelle esistenti in Parlamento prima della fiducia al nuovo governo? Anche in questo caso, si tratta di mettere d’accordo Pdl e Lega da una parte e Pd, Idv e Terzo Polo dall’altra sulla spartizione dei posti nel nuovo Cda. C’è di più: attualmente in Vigilanza vi è una situazione di sostanziale parità, 20 a 20, tra l’ex centro-destra e l’ex opposizione, situazione che complica la vicenda. Senza contare la rivendicazione della presidenza da parte della Lega Nord, in quanto riservata all’opposizione.
Il bello, però, è che la legge Gasparri riserva all’azionista, ovvero al Tesoro, e quindi a Monti stesso se manterrà l’interim, oppure al nuovo ministro dell’Economia, la nomina dell’ottavo consigliere. Quello decisivo per determinare la maggioranza in Cda. Il presidente, designato anch’esso dal Governo, deve ricevere il voto favorevole dei due terzi della Vigilanza e, in genere, non è omogeneo alla “maggioranza”.
Senza dimenticare che nel 2016 scadrà la concessione a Rai spa per il servizio pubblico: il prossimo Cda, in sella per tre anni, arriverà sulla soglia di una scadenza cruciale per capire quale futuro avrà la Rai. Un’ipotesi alternativa sarebbe quella della privatizzazione prevista dalla Gasparri e mai attuata. La nomina del Cda da parte della Vigilanza è infatti prevista sino a quando non sarà in mano ai privati il 10% del capitale Rai. In Europa si va nella direzione opposta: Francia e Spagna hanno tolto la pubblicità dalle tv pubbliche.
La scadenza più immediata è quella del canone: l’importo va fissato dal ministro dello sviluppo Corrado Passera entro il 30 novembre (la legge non aggiunge “e non oltre”, quindi si arriva ai primi giorni di dicembre). La Rai ha inoltrato una diffida ai ministeri competenti: la legge, infatti, stabilisce che il canone deve finanziare solo i programmi di servizio pubblico – determinati dall’Agcom – con un’apposita contabilità separata controllata da un advisor. La quale mostra come la Rai abbia cumulato un deficit di circa 1,3 miliardi di euro sino al 2010, cui si aggiungono circa 3-400 milioni nel 2011, in costi del servizio pubblico non coperti dal canone. Resta aperto anche il problema della diffusa evasione da parte di famiglie, amministrazioni pubbliche, partiti e imprese.
Fonte : Il Sole 24 Ore