Da un articolo di Riccardo Luna su La Repubblica del 17/12/2011:
Scommettere tutto su Internet, oggi, in Italia, non è più un fatto ideologico. È un fatto economico. Conviene a tutti. L’economia digitale è capace di creare nuova occupazione. Ed è una capacità dimostrata da decine di studi. L´effetto della diffusione della banda larga sulla crescita del prodotto interno lordo non è solo una formula matematica.
C’è di più oggi, in Italia. Come Paese siamo davanti a un’occasione storica: l’azzeramento del cosiddetto divario digitale è ormai a un passo. E questo vuol dire tante cose, ma soprattutto una: poter fissare il conto alla rovescia per portare tutta la Pubblica Amministrazione in rete e soltanto in rete. E quindi abolire la carta nelle operazioni con lo Stato e gli enti locali. Cancellare per sempre le file. Superare opacità e inefficienze. È un sogno lontano, presente in documenti e atti ufficiali di tutti i governi di ogni colore da una quindicina di anni. Ora si può realizzare.
Manca infatti davvero poco dall’obiettivo minimo di garantire a ciascun cittadino un accesso decente alla rete. Non parliamo qui degli ambiziosi target fissati dall’Agenda digitale europea che prevede che tutti abbiano un accesso a Internet con una connessione minima di 30 megabit entro il 2015 (per dare un’idea: oggi in Italia siamo a 3 megabit in media. Manca un’eternità). Per arrivare fino a lassù non basta la banda larga in rame: serve una banda ultralarga, garantita solo dalla fibra ottica o dall’Internet mobile di nuova generazione (LTE). E servono investimenti dell´ordine delle decine di miliardi di euro per i quali si sta attrezzando una grande alleanza che vede assieme quasi tutte le compagnie telefoniche, la Cassa depositi e prestiti del ministero dell’Economia, più un grande fondo privato dedicato alle infrastrutture (F2i). Quell’alleanza ha la bandiera di Metroweb, si sta ancora consolidando e se tutto andrà bene vedremo i suoi benefici effetti, soprattutto sulle grandi città e i distretti industriali destinatari della banda ultralarga, nella seconda metà di questo decennio.
L’obiettivo che abbiamo davanti oggi è molto più semplice e molto più vicino. Dare a tutti un accesso alla rete a uno o due megabit: non sono tanti ma sufficienti per navigare, usare la mail e persino gestire un sito. Farlo vuol dire unire la nuova Italia nel segno di Internet: il Nord, che è già molto connesso (con Lombardia e Trentino a guidare la classifica), e il Sud che invece in certe aree arranca (soprattutto Molise e Basilicata). Le città alla campagna. I nativi digitali e i loro nonni. Passare insomma dal digital divide al digital united.
Perché è così importante? Perché soltanto quando tutti gli italiani, nessuno escluso, avranno la possibilità di collegarsi alla Rete, lo Stato potrà fare la scelta di diventare “solo digitale”. Il cosiddetto switch-over (simile come concetto a quello avvenuto con il digitale terrestre della tv, ma molto più ambizioso) dovrà avvenire dopo una transizione, naturalmente, ma il giorno che questa sarà terminata, saremo davanti alla più grande rivoluzione sociale che il Paese ha vissuto dai tempi della unificazione. E i risparmi sarebbero enormi.
L´ultimo calcolo di una digitalizzazione di Sanità, Istruzione e Giustizia, firmato da Confindustria, risale a un paio di anni fa ed è quindi necessario aggiornare quei numeri: ma come ordine di grandezza parliamo di valori pari a una manovra come quella appena approvata dal governo. Di qualche giorno fa invece è uno studio di fattibilità dell’economista Francesco Sacco e del tecnologo Stefano Quintarelli per la cosiddetta digitalizzazione delle fatture: in questo caso si calcolano risparmi fino a due miliardi l’anno per lo Stato e fino a 60 miliardi per le imprese. Lo studio è già sul tavolo del governo. E fin qui parliamo solo di risparmi, senza considerare l’impatto della banda sulla nuova occupazione, sulla crescita economica e, non meno importante, sulla crescita culturale del Paese che da fanalino di coda mondiale dell´economia digitale potrebbe condividere la leadership con i Paesi più avanzati.
Quanto costa fare questo passo? Pochissimo. Partiamo da quanta Italia è ancora “digital divisa“. Secondo le stime più attendibili, prodotte dall’Osservatorio banda larga, il 6 per cento della popolazione è al buio (a questi va aggiunto un 40 per cento che non ha richiesto un accesso alla Rete pur vivendo in una zona coperta, ma si tratta evidentemente di un problema culturale). L’obiettivo è quindi mettere in Rete tre milioni e mezzo di italiani che vivono soprattutto in zone rurali o isolate ma non solo. Farlo, sempre secondo l’Osservatorio banda larga, costa meno di 600 milioni di euro. Una somma alla nostra portata anche in tempi difficili come questo. Qualche giorno fa per far ripartire opere pubbliche e infrastrutture, il ministro Passera ha sbloccato 12,5 miliardi di fondi fermi al Comitato interministeriale programmazione economica (CIPE). La banda larga non c’era. Eppure al Cipe ai tempi del governo Berlusconi, si erano volatilizzati 800 milioni a essa destinati. E soprattutto, l’asta per le frequenze per Internet in mobilità (LTE) qualche mese fa ha generato un surplus di più di un miliardo di euro che si era stabilito che sarebbe stato reinvestito nel settore prima che il ministro Tremonti lo usasse per tappare i buchi.
Il governo ha quindi davanti una occasione imperdibile: come il New Deal di Franklin Delano Roosevelt poggiò la ripresa degli Stati Uniti sulla costruzione di strade e ponti, il New Deal di Mario Monti può scommettere sulle autostrade dell’informazione e sui ponti della conoscenza fra i cittadini italiani e il mondo. Il punto non è se ci possiamo permettere di farlo: è che probabilmente non ci possiamo permettere di non farlo.