Il viceministro per le comunicazioni Romani ha annunciato che per il 2010 il canone Rai passerà da 107,5 euro a 109 euro all’anno. Il Ministero dello Sviluppo Economico fa sapere che il decreto è stato firmato mercoledì scorso e che gli aumenti sono causati dall’adeguamento con l’indice d’inflazione. L’aumento di 1,50 euro sull’abbonamento porterà nella casse della Stato ben 24 milioni di euro in più.
Le associazioni di consumatori e il Consiglio Nazionale degli Utenti dell’Agcom protestano vivamente per questa decisione (comunicata con largo ritardo alla stampa), sostenendo che i cittadini sono già gravati dalle spese e dalle difficoltà del passaggio al digitale terrestre e non sono in grado sopportare un ulteriore aumento dei costi.
Il decreto firmato dal ministro dello Sviluppo Economico Scajola tenta timidamente di aggiustare i conti dell’azienda radiotelevisiva pubblica, oppressa da un pesante deficit di 120 milioni di euro per il solo 2009. Nel bilancio della Rai mancano i 55 milioni l’anno del contratto con Sky di ben 4 anni; stanno incidendo profondamente anche i lavori per la transizione al digitale terrestre; si aggiunge inoltre la perdita di un larga percentuale di entrate derivanti dalla pubblicità.
Ma in questi ultimi mesi le geniali mosse del governo, nel tentativo di agevolare l’azienda media tv della famiglia Berlusconi, probabilmente non sono mai state pensate per ripianare il gigantesco buco di bilancio della Rai. Anzi le strategie politiche del Pdl sembrano tutto sommato puntare a ridimensionare il network pubblico.
Berlusconi due mesi fa, nel contesto della diatriba mediatica con Santoro e Annozero, tuonò:«Continuando così ci saranno brutte sorprese per il bilancio della Rai». Evidentemente il premier, oltre ad essere un operaio e un miracolato, è divenuto anche un preveggente. Contemporaneamente si diffuse un’indegna campagna sulla stampa da parte de Il Giornale e di Libero proprio contro il canone Rai. Il premier dati alla mano dichiarò:«Pare che il 50% degli italiani abbia deciso di non pagare più il canone, questo mette a repentaglio l’esistenza della tv di Stato». Queste dichiarazioni demagogiche messe in relazioni con le azioni di governo espongono un piano di governo in evidente conflitto d’interessi: ridimensionare la Rai per rafforzare lo posizione dominante di Mediaset nel mercato tv ed eliminare le opposizioni scomode sul piano politico.