Secondo il Garante del contribuente del Friuli Venezia Giulia se l’abbonato non riesce a ricevere il segnale della tv pubblica ha il diritto di non pagare il canone Rai.
Il clamoroso pronunciamento del Garante, che smentisce la direzione torinese dell’Agenzia delle Entrate, è arrivato in seguito a un esposto del tributarista Alessandro Perusin di Cervignano del Friuli, che stufo del disservizio televisivo ha sfidato come un novello Don Chisciotte i mulini a vento della burocrazia catodica. «La vicenda ha avuto inizio negli ultimi mesi del 2014. – ha spiegato al Messaggero Veneto – In quel periodo la Rai ha variato la trasmissione del segnale provocando la mancata ricezione dei primi tre canali a molti utenti delle province di Udine e Pordenone».
I problemi di ricezione dei canali Rai, dovuti al cambio del punto di diffusione delle trasmissioni tv (dal ripetitore di Udine a quello di Castaldia-Piancavallo) ha costretto numerosi abbonati «ad affrontare costi di antennista e di adeguamento, a volte consistenti (anche oltre mille euro) per adeguarsi al nuovo segnale Rai». Il disservizio e i conseguenti disagi hanno indotto 27 sindaci della pedemontana pordenonese (da Maniago alla Val Tramontina, da Cavasso ad Aviano) a promuovere una petizione popolare e a inviare una lettera a Ministero dello Sviluppo economico, alla Rai, alla Prefettura, al Codacons, all’Agcom e al Corecom regionale per chiedere non soltanto una rapida risoluzione del problema dell’assenza del segnale Rai, ma anche l’esenzione dal pagamento del canone per il periodo di mancata ricezione.
Per questo motivo il tributarista Perusin ha ritenuto «non dovuto» il pagamento del canone e si è rivolto al Garante regionale Carlo Dapelo, che ha interpellato l’Agenzia delle entrate di Torino, che a sua volta ha ribadito per l’ennesima volta che il canone è dovuto da chiunque possieda un “apparecchio atto alla ricezione” della tv pubblica. Sottolineando che non è rilevante se i canali Rai sono ricevibili o no dal luogo dove è situato il sintonizzatore tv.
Venerdì 6 marzo il Garante ha espresso la propria contrarietà al responso dell’Agenzia. «L’assunto dell’Agenzia delle entrate – scrive Dapelo – secondo cui il presupposto dell’obbligo tributario di corrispondere il canone di abbonamento radiotelevisivo risiede nella semplice detenzione di un apparecchio atto alla ricezione delle trasmissioni a prescindere dalla circostanza che non sia possibile, per carenza di segnali, ricevere i programmi della concessionaria del servizio pubblico non può essere condiviso».
Il Garante si richiama quindi alla regola del “inademplenti non est adimplendum“, secondo la quale una delle due parti di un contratto può non adempiere la propria obbligazione ove l’altra parte si rifiuti di adempiere la propria. La legge 212 del 2000, aggiunge il Garante, prevede testualmente che «i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede». A queste condizioni l’erogatore pubblico avrebbe il dovere morale e non solo, scrive Dapelo, di non imporre al cittadino un balzello per un servizio impossibile da ricevere. «In virtù di tale principio – prosegue il Garante – la pubblica amministrazione dovrebbe esimersi dall’esigere il pagamento di un’imposta concernente un servizio che non può essere assicurato».
Fonte: messaggeroveneto.gelocal.it