Google e le società che mettono a disposizione degli utenti della rete piattaforme per caricare i loro video – fornendo dunque un mero servizio di Internet host provider – non sono responsabili dei contenuti di tali filmati nel caso in cui le immagini violino il Codice della Privacy.
Lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni della sentenza 5107 depositate ieri e relative al verdetto di assoluzione dei manager del gruppo di Mountain View, emesso lo scorso 17 dicembre, per il caso del video dello studente disabile torinese insultato e seviziato dai suoi compagni di scuola.
Il caso, conosciuto anche con il nome dell’associazione che ha depositato la denuncia, Vividown, implicava una violazione della privacy del ragazzo vittima del bullismo. Il problema legale riguardava l’eventuale responsabilità di Google (e quella penale dei suoi manager) che, secondo l’accusa, avrebbero dovuto vigilare sui contenuti ospitati sulle piattaforme dell’azienda (YouTube) e accertarsi che tutti i protagonisti del filmato (tanto più se minorenni) avessero dato il consenso al trattamento dei dati personali.
Gli unici responsabili dell’orrendo video che ledono il diritto alla riservatezza o norme del codice penale, rileva la Suprema Corte, sono gli utenti che caricano simili contenuti. Il provider, invece, risponde solo se “venuto a conoscenza della natura illecita di tali dati, abbia omesso di prontamente rimuoverli o disabilitare l’accesso agli stessi”.
Queste motivazioni – sedici pagine scritte dal consigliere Alessandro Andronio, presidente Saverio Mannino – erano molto attese da tutto il mondo del Web. Da questa vicenda è scaturito il primo processo, a livello internazionale, nel quale è stato messo sotto accusa il board dei responsabili di Google per il settore italiano (David Carl Drummond, all’epoca dei fatti presidente del Cda di Google Italia, George De Los Reyes, ex membro del cda di Google Italia, ora in pensione e Peter Fleischer, responsabile delle strategie sulla privacy per l’Europa), accusati di aver mancato di vigilare sui contenuti del video in questione, segnalata il 5 e 6 novembre del 2006, e rimossa il 7 novembre, dopo l’intervento della polizia postale su segnalazione di alcuni utenti indignati.
In primo grado era stata affermata la responsabilità del provider, mentre in secondo grado la Corte di appello di Milano, nel dicembre 2012, pronunciò l’assoluzione con soddisfazione dei rappresentanti della diplomazia americana in Italia preoccupati dalle conseguenze di una eventuale condanna per quanto riguarda i vari aspetti delle limitazioni nell’accesso alla rete. Nel frattempo, tuttavia, i familiari del minore disabile hanno ritirato la querela e si è anche consolidata la giurisprudenza europea in materia di non responsabilità degli Isp.
“La posizione di Google Italia srl e dei suoi responsabili, imputati nel presente procedimento – scrive la Cassazione – è infatti quella di mero Internet host provider, soggetto che si limita a fornire una piattaforma sulla quale gli utenti possono liberamente caricare i loro video; video del cui contenuto restano gli esclusivi responsabili”.
“Ne consegue – proseguono i supremi giudici – che gli imputati non sono titolari di alcun trattamento e che gli unici titolari del trattamento dei dati sensibili eventualmente contenuti nei video caricati sul sito sono gli stessi utenti che li hanno caricati, ai quali soli possono essere applicate le sanzioni, amministrative e penali, previste per il titolare del trattamento dal Codice della Privacy”.
Fonte: ANSA