Anche se rimane il più grande per ricavi, in Italia mercato della tv commerciale in chiaro arranca a causa della crisi della pubblicità. Nel suo complesso il mercato televisivo nel 2012 ha perso risorse per circa 800 milioni, il 9% del totale. Per questo motivo, secondo la recente relazione annuale dell’Agcom, nel 2012 Sky Italia è divenuto il primo operatore tv del Bel Paese sorpassando Mediaset per ricavi.
La crisi del settore televisivo non è però un problema solo nostrano. Coinvolge l’intera Europa, anche se con misure diverse: un’analisi condotta sui 20 principali broadcaster europei evidenzia infatti una crescita complessiva dei ricavi del 2,1% ma il dato nasconde una doppia velocità: gli operatori in chiaro, finanziati dalla pubblicità, arretrano di quasi un punto percentuale, mentre le pay-tv vanno avanti di quasi il 4%.
Dati che trovano conferma, secondo quanto riporta Repubblica Affari&Finanza, nelle prime elaborazioni di ItMedia Consulting per il prossimo Rapporto sulla Tv europea che verrà pubblicato ai primi di settembre. «Gli operatori pay sono i soli ad aver registrato una crescita – conferma Augusto Preta, direttore generale di ItMedia – anche se il loro più 3,7% indica comunque un rallentamento. D’altra parte sono proprio i modelli economici più tradizionali dei broadcaster i più sottoposti finora alla pressione competitiva delle nuove tecnologie e delle nuove piattaforme di distribuzione dei contenuti, che indirizzano gli utenti verso schemi di consumo sempre più personalizzati».
Ma anche all’interno del settore pay ci sono in Europa risultati diversi. Complessivamente nel 2012 il numero degli abbonati è cresciuto ancora, a 94,1 milioni secondo l’ultimo report della società britannica Digital Tv Research e le previsioni dicono che un altro milione verrà aggiunto a fine 2013 e poi il trend continuerà a salire per toccare i 100 milioni nel 2018.
Il motore di questa crescita, lo scorso anno, è stata la Germania, che ha aggiunto quasi 700 mila nuovi abbonati (beneficiando anche del definitivo spegnimento della tv analogica). Male sono andati i due grandi mercati dell’Europa mediterranea, Italia e Spagna. Da noi il report accredita una perdita di 482 mila abbonati e di questi 200 mila sono quelli ufficialmente comunicati da Sky: il resto è una sommatoria in cui rientrano i numeri di Mediaset (sia abbonamenti che prepagate), delle pay-tv porno ma anche il saldo dell’Iptv, che ha visto l’uscita dal settore di Fastweb.
In Spagna, il report rileva una perdita di 350 mila utenti ma anche in questo caso è un numero che va scomposto. Anche in Spagna c’è un unico operatore pay satellitare, Digital+, che fa capo al gruppo Prisa, e che è in questi giorni al centro delle attenzioni per la possibile cessione del suo pacchetto di controllo, a cui sono interessati sia Murdoch che Mediaset. Dai bilanci di Prisa si evidenzia una sostanziale tenuta nel 2012 intorno a 1,8 milioni di utenti, ma con una perdita di 100 mila abbonati dal satellite, recuperati però dalla pay-tv sul digitale terrestre e soprattutto su Internet.
Anche qui, dunque, la perdita di utenti sembra aver riguardato soprattutto le piattaforme minori e non l’operatore principale. E questo è di per sé una conferma che le schermaglie tra il Biscione e Sky sul possibile ingresso nel mercato iberico non sono puramente formali. Tra l’altro lo stesso report sottolinea come sia in Italia che in Spagna, dopo un 2013 ancora fiacco e un 2014 in stallo, dal 2015 la base abbonati della pay-tv tornerà di nuovo a crescere.
Anzi, il tema dominante dei prossimi 2-5 anni per i grandi broadcaster continentali sarà proprio quello della conquista dei nuovi mercati ad alto potenziale. D’altra parte proprio il successo delle pay-tv che fanno capo al gruppo News Corp sta dimostrando che il business della tv a pagamento può avere un carattere multinazionale. E il recente rafforzamento degli americani di Liberty Media che hanno rilevato gli asset tv del gruppo Virgin in Gran Bretagna stanno a dimostrare che il mercato europeo è ormai entrato in un processo di consolidamento in cui si troveranno a competere pochi soggetti di grandi dimensioni in grado di mettere a frutto grandi economie di scala, in particolare per quanto riguarda l’acquisto dei diritti dei grandi contenuti spendibili su più mercati nazionali: film e le maggiori competizioni sportive.
Da questo punto di vista la Spagna, secondo Stefano Carli, forse ancora più dell’Italia, è un mercato che offre sostanziali possibilità di crescita: la penetrazione della pay-tv è ancora la 24% ed è dunque suscettibile di grandi sviluppi. Cosa che invece non è nei mercati dell’Europa settentrionale, dove ci sono paesi come l’Olanda dove la penetrazione è arrivata già oltre il 90%.
E poi ci sono i nuovi mercati europei. Una conferenza tenutasi a Dubrovnik in Croazia, ai primi dello scorso maggio, ha già lanciato il nome: Nem, ossia New European Markets, per indicare i “nostri” Bric europei. Sono i mercati dell’Europa balcanica, della Russia e dell’Ucraina: in totale un macromercato da 155 milioni di abitanti e con 1600 emittenti tv oggi attive. La loro crescita economica verrà inevitabilmente seguita da una crescita dei consumi. E sarà quindi una corsa tra gli operatori oggi già radicati nell’Europa occidentale a sbarcare rapidamente in quei paesi per portare il modello della “tv everywhere”, ossia le strategie multischermo che legano assieme in un’unica piattaforma di distribuzione di contenuti video televisori, tavolette e smartphone: un’attitudine che in Europa occidentale ha già conquistato il 70% degli utenti della pay-tv, mentre nei Nem la quota è ancora al 25%. Ancora una volta i primi a muoversi sono stati gli inglesi, che usano la BBC come una testa di ponte (assolutamente efficace) che ha già creato filiali in Slovenia, Ungheria e Romania.
Fonte: Repubblica Affari&Finanza