Banda Larga: le telcom investono, il governo no

Secondo quanto è stato riportato  alla presentazione del Forum PA 2010 il 10 maggio scorso, negli ultimi cinque anni lo sviluppo della banda larga di soldi ne ha avuti molti: 1,3 miliardi di euro, ma tutti dalle regioni e dagli enti locali a macchia di leopardo, senza un minimo di coordinamento nazionale o di strategia.

Nonostante questo ingente investimento per le infrastrutture della rete ad alta velocità, i recenti dati Eurostat dimostrano che  il 53% delle famiglie italiane ha accesso a Internet, contro una media UE del 65%; l’Italia è indietro anche per le connessioni a banda larga, che arrivano nel 39% delle nostre case contro il 56% di quelle europee.

E’ assurdo che a metà del 2010 nel nostro paese si stia ancora a discutere se l’accesso a Internet sia o meno un diritto universale e una priorità su cui investire. Anzi le istituzioni da qualche anno hanno investito e operato per lo sviluppo di tecnologie vecchie e propense al controllo sociale come il digitale terrestre. I dati inesorabili dei vari istituti di ricerca sono indice della  progressiva arretratezza, non solo tecnologica, ma soprattutto culturale del paese nei confronti della rete, della sua filosofia e dei nuovi modelli di economia.

Ma cosa sta facendo l’Italia per colmare il proprio gap infrastrutturale? Delle tre proposte formulate dal super consulente Franesco Caio nel marzo del 2009 per sanare la rete italiana (Rapporto Caio), nessuna finora è stata accolta. La proposta meno ambiziosa, e per questo più realistica, prevedeva un investimento minimo di 1,3 miliardi per garantire a tutta la popolazione l’accesso alla banda larga. Il governo promise (legge 69 del 18 giugno 2009) un finanziamento fino a un massimo di 800 milioni, che non sono mai arrivati, e che, a detta di molti, senza lo scorporo dell’infrastruttura di rete sareberro serviti soltanto a ripianare i debiti dell’ex-monopolista Telecom.

Il governo perciò è fermo. Solo le telcom private hanno avviato finalmente una programmazione per lo sviluppo delle infrastrutture di rete. Vodafone, Infostrada e Fastweb preparano un piano industriale da 2,5 miliardi di euro per portare la fibra ottica nelle 15 maggiori città italiane per un bacino di 10 milioni di utenti. Le tre sorelle della “rete alternativa” prevedono in futuro una seconda fase del piano che potrà essere esteso fino a coprire le città con più di 20 mila abitanti, raggiungendo il 50% della popolazione con un investimento di 8,5 miliardi.

Telecom Italia, dissociandosi dalla rete delle tre telcom concorrenti, invece ha avviato un piano per cablare con la fibra le maggiori città italiane. Telecom ha stanziato 100 milioni di euro per portare l’ultrabanda da 100 megabit in 13 grandi città entro il 2012. La sperimentazione è già stata avviata nella città di Roma e fornirà internet super veloce a 80 mila case. Milano sarà la prossima in vista dell’Expo 2015. Mancano però all’appello i famosi 800 milioni di finanziamenti statali bloccati dal CIPE a tempo indeterminato.

Gli investimenti delle telcom private però necessitano di un appoggio dello Stato e del governo, un investimento promesso ma latitante. Secondo il presidente della Commissione Trasporti Poste e Telecomunicazioni della Camera, Mario Valducci, è necessario stabilire una roadmap per digitalizzare il paese. Per costruire l’infrastruttura del futuro anche il presidente dell’Agcom, Corrado Calabrò, ha recentemente ripetuto che si dovrebbe stabilire definitivamente uno switch-off (modello digitale terrestre) fissato di concerto con istituzioni, operatori telcom e società civile, che segni la fine della burocrazia cartacea e obblighi le amministrazioni ad adottare solo il formato digitale e quindi di conseguenza Internet. Valducci stranamente non si accorge che lui per primo lavora in un ambiente politico distante ed estremamente slegato tecnologicamente e culturalmente dalla cultura digitale. Lo switch-off più che altro sarebbe utile per creare un modello di passaggio a tappe che coinvolgerebbe la migrazione di intere aree territoriali alla fibra ottica, che andrebbe così a rimpiazzare i doppini in rame.

L’azienda Between consulente per l’ICT del Ministero dello sviluppo economico attraverso il progetto Osservatorio Banda Larga individua tre obiettivi ben precisi: lavorare da subito su un progetto nazionale di sviluppo della banda ultra larga integrando le piattaforme esistenti (pubbliche e private);  realizzare una mappatura di tutte le reti esistenti e delle principali infrastrutture civili che possono essere utilizzate per accelerare la diffusione delle reti di nuova generazione; attivare una cabina di regia stato-regioni per coordinare gli interventi futuri e definire regole di sviluppo a tutela della concorrenza e degli utenti. Proposte pienamente condivisibili ma che per ora rimangono come al solito solo sulla carta.

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