Rai, ecco la riforma che non riforma

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Passato senza tanto clamore sui media e sulla stampa nazionale, il disegno di legge sulla riforma della Rai, pubblicato integralmente sul sito del governo nel tardo pomeriggio del venerdì del week end pasquale, si appresta oggi al vaglio del Senato, intorno alle ore 14, con la convocazione della commissione Lavori Pubblici e Comunicazioni del Senato per il suo primo esame.

I sei articoli del ddl sulla nuova (si fa per dire) tv pubblica lasciano spazio però a dubbi e perplessità, perchè si limitano a intervenire con alcune modifiche sul decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 e sulla legge Gasparri per ridefinire i criteri di nomina e il modello di governance della Rai, e per liberare forse la Rai dagli obblighi che le erano stati imposti uniformandola alle aziende pubbliche.

Loris Mazzetti dalle colonne del Fatto Quotidiano fa notare ad esempio che il disegno di legge non accenna al rinnovo della concessione tra la Rai e lo Stato, in scadenza nel maggio del 2016, che assegna a Viale Mazzini il ruolo di “servizio pubblico generale radiotelevisivo”. Manca nel documento la scelta di Renzi se delegare il rinnovo direttamente al governo. Nell’art. 1 si parla solo di rinnovo del contratto di servizio che passerà da 3 a 5 anni.

Il piano della riforma Renzi punta in futuro a privatizzare una parte della tv pubblica e a quotarne in Borsa un’altra (al massimo il 10%), per questo il ddl non tocca l’articolo 21 della legge Gasparri (Dismissione della partecipazione dello Stato nella Rai). Sicuramente il disegno mira a sganciare l’azienda dalle regole della Pubblica Amministrazione, come “Organismo di Diritto pubblico”. In realtà, scrive Mazzetti, non è poi così chiaro: l’art. 3 infatti vi è scritto che il nuovo amministratore delegato, a proposito dei “criteri e modalità del reclutamento del personale”, dovrà fare riferimento all’art. 35 comma 3 del decreto n. 165/2001, legiferato per le “società in totale partecipazione pubblica”.

Carlo Tecce, ieri sempre sul Fatto, ha sottolineato come la riforma del premier non eletto sia inconsistente e in pratica non riforma la Rai. Il nuovo ad, in effetti, sarà nominato, come l’attuale direttore generale, sempre dal Tesoro. L’elezione di una parte del Cda, ora fatta dalla Commissione di Vigilanza, sarà comunque determinata dai deputati e dai senatori (due componenti li elegge la Camera e due il Senato). Anche la clausola dei famosi “consiglieri licenziabili” dal Tesoro (con un parere vincolante della Commissione di Vigilanza) è una norma prevista dalla legge Gasparri, che prevede le revoche con un identico procedimento (attualmente ad esempio è sotto inchiesta Antonio Verro per il caso di tentata censura dei programmi considerati scomodi per il governo Berlusconi).

Infine, dopo tanto clamore nei mesi scorsi sulla sua possibile rivoluzione (dalla riduzione dell’imposta all’inserimento nella bolletta elettrica), il canone Rai, secondo il ddl, rimane per ora lo stesso sempre più odiato dagli italiani, anche se il governo s’è dato un anno per ulteriori approfondimenti

Fonti: Il Fatto Quotidiano

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