E Berlusconi disse: “fermate la Rai”

Da un articolo di Denise Pardo su l’Espresso del 7/11/2013:

Si racconta che in una sera di inizio estate, sotto l’egida delle larghe intese, da una di quelle simpatiche riunioni plenarie di Arcore tra il Cavaliere, Niccolò Ghedini, Denis Verdini sia partito l’ordine di servizio di addomesticare la Rai.

E certo per un caso, da metà giugno fino al 22 ottobre, tenendo presente che il mese di agosto non va calcolato, la Commissione di Vigilanza Rai si è scatenata. E ha presentato contro l’operato e i programmi di viale Mazzini 80, dicasi ottanta interrogazioni. Una cifra inaudita, quasi uno stalking istituzionale. Recordman del tutto, l’infaticabile soldato azzurro Renato Brunetta.

Ora la Rai, come è noto, non brilla per stimmate di santità e vigilare è più che sano. Ma le regole all’interno della tv pubblica stanno cambiando, e questo è sotto gli occhi di tutti. Solo la violenza dell’attacco da parte del capogruppo Pdl alla Camera, l’economista-politico-accademico, così si autodefinisce Brunetta, rivela l’ansia del Cavaliere e la preoccupazione per l’avvenire industriale del suo impero di Cologno Monzese. La Rai di Anna Maria Tarantola e Luigi Gubitosi, che non litigano, non tramano l’uno contro l’altra, va portata a più miti consigli. In effetti, la nazionale Pdl Brunetta-Romani-Gasparri-Minzolini schierata da Silvio Berlusconi in commissione non era proprio un segnale metafisico.

E così è partito l’attacco. Al contratto milionario di Fabio Fazio. All’arrivo, sventato, di Maurizio Crozza che spaventato è rimasto aggrappato a La7. E anche il plauso a una possibile progressiva privatizzazione della Rai (in assonanza con l’offerta di disponibilità di Tarak Ben Ammar, amico del cuore di Berlusconi), ipotizzata molto flebilmente dal ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni e vecchio sogno dell’ex ministro Gasparri.

In una stravagante alleanza con Roberto Fico presidente della Commissione, grillino con un certo aplomb («Per noi la Rai è centrale»), Brunetta si agita e rimescola le acque, bene attento però a non bagnare sponde amiche (i 6 milioni e spiccioli, competenza triennale di Bruno Vespa, lo stipendio di mezzo milione di euro di Augusto Minzolini in aspettativa perché è stato fatto senatore), intento a giocare anche una personale partita all’interno della voliera dei falchi.

Con i numeri dei conti Rai in leggero miglioramento (utile netto del terzo trimestre circa 1 milione; nei nove mesi, con un calo di 71 milioni di pubblicità, 2,5 milioni di perdita contro i 185 milioni dell’anno prima, di cui 143 per grandi eventi), Crozza a Viale Mazzini diventava un allarme rosso.

Da Palazzo San Macuto, sede della Vigilanza, a Cologno Monzese, gli uomini di conto sanno bene che il costo di 550 mila euro per una prima serata su Rai Uno spalmata fino alle 23,30, in due anni e mezzo avrebbe portato un risparmio di decine di milioni, visto che in genere vale quasi il doppio. Un risparmio, hanno detto in Rai, che sommato ai maggiori introiti di spot che Rai Pubblicità aveva previsto per il programma avrebbe potuto finanziare cultura, informazione, grandi eventi sportivi. Una pessima prospettiva per Mediaset, che ha tirato un sospiro di sollievo. Per Brunetta ha significato di più: è stata una soddisfazione personale dopo che, attraverso Gaetano Quagliariello, Fedele Confalonieri gli ha fatto arrivare i suoi complimenti.

La Rai Tarantola-Gubitosi, senza un vero potere di riferimento benedetto dal voto, rappresenta un problema. Con un leader dal futuro politico incerto, Mediaset teme più di prima la sua concorrente. Fino a poco tempo fa, a viale Mazzini era sistemato un cordone sanitario amico e si avvicendavano direzioni generali molto affettuose. Un periodo d’oro. Adesso più d’horror. Soprattutto visto che importanti postazioni interne sono rimaste scoperte dopo l’esodo non proprio volontario di un’intera generazione Raiset, creatura dell’inciucio tra tv pubblica e Cologno Monzese, da Gianfranco Comanducci a Fabrizio Del Noce.

E anche se la luna di miele Tarantola-Gubitosi con il partito Rai, sembra essere meno fulgida causa la fibrillazione della politica, le polemiche per un concorso per giornalisti che, secondo gli esclusi, non è apparso completamente trasparente e la delusione verso una presidente meno disponibile e meno attenta alle donne di quanto ci si aspettasse, non c’è stato un nuovo reclutamento.

I simpatizzanti aspettano. L’altalena tra falchi e colombe, tra Pdl e Forza Italia, suggeriscono prudenza al popolo Rai. Né si può contare su un contrattacco del Pd all’altezza. I due consiglieri Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo, considerati in quota, tengono a dire di essere espressione di società civile. Il Pd dilaniato anch’esso da una classe dirigente pericolante non ha ancora sostituito il commissario Maurizio Décina all’Autorità per le Comunicazioni dove così la maggioranza pende a destra. E anche sull’affaire Fazio, icona amatissima, la difesa è stata a dir poco debole. Eppure bastava snocciolare le cifre Mediaset, che certo non ha il canone, ma che secondo il mercato pagherebbe più o meno i 10 milioni del contratto di Paolo Bonolis, i 5 circa di Michelle Hunziker, cifre in linea con lo star system.

Nel frattempo, per rispondere agli attacchi carte in mano, Gubitosi ha chiesto l’intervento dell’avvocatura di Stato. Domandando un parere sui confini delle richieste della commissione che insiste nel voler conoscere dati aziendali per lui molto sensibili. Il timore è rovesciato, secondo il settimo piano di viale Mazzini: la Rai paga meno degli altri alcuni suoi artisti e vorrebbe evitare di farlo sapere in giro per non provocare rilanci. Intanto, secondo la vox populi che in Rai non corrisponde necessariamente alla vox dei, Gubitosi sarebbe stato avvistato a Montecitorio e avrebbe il gradimento chi dice di Enrico Letta, chi dice di Angelino Alfano, chi dice di tutt’e due.

Ma a viale Mazzini, mezza azienda è in agitazione a causa del velo alzato sul settore più complesso, la produzione, le antiche rendite di posizione, la zona grigia di appalti e forniture (le esternalizzazioni sono state bloccate, c’è un risparmio di 45 milioni di costi esterni). Pochi giorni fa, la Rai ha presentato un esposto all’autorità giudiziaria. Una denuncia di forti irregolarità nel campo del montaggio con gare vinte sempre dalle stesse società, una sorta di vera spartizione. È il risultato di uno degli audit avviati con l’arrivo di Gianfranco Cariola, un ex Eni che con un team di 22 ispettori sta terrorizzando l’alta dirigenza.

Maurizio Ciarnò, ex capo della sicurezza di Berlusconi, secondo le biografie perfide che circolano in Rai, è stato sollevato dalla responsabilità dei Grandi eventi e messo a disposizione a causa di un bando sospetto di una gara d’appalto del festival di Sanremo dell’anno scorso. Si sa che è in moto un audit sulla produzione. E sta per partire un controllo da brivido sul Giro d’Italia e sui suoi appalti di ripresa.

Qualcuno sostiene che ci sia un legame tra audit e attacchi politici. La Rai ha sempre mostrato attenzione a clientele e appetiti dei partiti e dei loro famigli. Quel che è certo è che la strategia aggressiva di Brunetta, seguito passo passo dal collega di Vigilanza Maurizio Rossi, in flagrante conflitto d’interessi, essendo azionista di Primocanale, è chiara. Mira a spaventare gli artisti e a impressionare l’opinione pubblica con le cifre astronomiche dello show biz.

Ma conta anche su qualcos’altro: l’imbarazzo della sinistra nel difendere compensi milionari in un momento di gravissima crisi economica. L’obiettivo è ben delineato: indebolire l’immagine della Rai, trasformarla in una società sempre più piccola possibilmente solo con programmi culturali, fare a pezzi, come ha suggerito il senatore Rossi, anche il servizio regionale fino ad arrivare al 2016. Anno in cui scadrà l’attuale convenzione della tv pubblica con lo Stato e a decidere o no il rinnovo dovrà essere il Parlamento. Una Rai più addomesticata come vuole il Cavaliere potrà essere più accessibile ai privati. Chi può fare qualcosa oggi non potrà dire di non essere stato avvertito.

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