Banda Larga: l’Italia spreca una tesoro da 838 mld

Da un articolo di Massimo Sideri del 18/06/2012 su Il CorrierEconomia:

Italia 2030, fuga da Telecom (e dal paese). Secondo uno studio commissionato dal Dipartimento delle comunicazioni del ministero dello Sviluppo economico a «I costi del non fare» — osservatorio fondato e presieduto da Andrea Gilardoni professore associato di economia e gestione delle public utilities all’Università Luigi Bocconi — tra 18 anni la rete dell’incumbent varrà zero e l’Italia avrà rinunciato a una cifra stimata tra i 4 e i 25 miliardi per la mancata realizzazione di una nuova rete Bul (a banda ultra larga) e a 838 miliardi in termini di mancati servizi che su di essa potrebbero svilupparsi: in altri termini il 3% del Pil all’anno da ora al 2030.

Gilardoni stesso sottolinea che i numeri sono il risultato di stime e ipotesi e che le nuove tecnologie come il vectoring , seppure ancora dibattute in termini di efficacia, potrebbero allungare l’obsolescenza della rete in rame. Ma, al di là degli scenari e delle citazioni da film apocalittico, lo studio appena pubblicato risulta di particolare importanza nell’ambito del dibattito sul conferimento (e dunque il famigerato scorporo) della rete Telecom nel nuovo progetto Metroweb implementato dalla Cassa depositi e prestiti. Ma anche nel quadro della discussione molto più ampia sul rischio che l’Italia perda l’ultimo vagone dell’ultimo treno digitale di passaggio.

È ormai chiaro, soprattutto in un contesto globalizzato e senza più le muraglie delle industry tradizionali, che ha senso considerare i «costi sociali del non fare», valutando anche la nuova occupazione che non avremo oltre a quella che pure è possibile perdere in fase di transizione. «Analizzare la rete da questo punto di vista — spiega Gilardoni — è anche un modo per riaffrontare i temi irrisolti del paese. Se grazie allo sviluppo tecnologico si cogliesse l’occasione per esempio per modernizzare la Pubblica amministrazione tutto ciò avrebbe un beneficio. Inoltre in un quadro economico di risorse scarse sarebbe estremamente ragionevole che ci fosse un unico progetto con un unico cervello per gestire la transizione».

Gli approcci sono importanti. Per Telecom la rete andrà modernizzata. Non ci piove. Ma solo quando ci sarà una solida domanda e un’adeguata evoluzione dei servizi ad alto valore aggiunto che sulla Rete possono attecchire. Alla fine sembra di essere di fronte al dilemma dell’uovo o della gallina in chiave moderna: nasce prima l’infrastruttura o il successo di un servizio? La storia tecnologica ci insegna però che una risposta c’è: è nata prima la rete mobile 3G e poi gli smartphone moderni e i tablet. E immaginare il contrario è molto difficile. Punto primo: la rete è chiave per la stessa politica industriale del Paese, anche se non basta. Il calcolo del beneficio ottenibile dalla sola realizzazione della rete — 4-25 miliardi di euro — è stato fatto ipotizzando un tasso di sconto del 3,5%, pari al rendimento reale, dunque meno l’inflazione, dei Btp a lungo termine, un periodo della realizzazione della Rete Banda Ultra Larga di 8 anni, l’obsolescenza del rame al 2030 e un numero di linee fisse tra i 20 e i 24 milioni.

Un approccio simile a quello utilizzato per gli investimenti di pubblico interesse come quelli della Bei. Il terminal value della nuova rete (beneficio sociale successivo al 2030 assumendo una vita della nuova rete di almeno mezzo secolo) è stimato tra i 21,7 e i 26 miliardi. Questo beneficio è stato calcolato sulla base della disponibilità a pagare la connettività alla Bul assumendo il canone odierno dell’ unbundling (9,28 euro al mese) che viene moltiplicato per il numero di linee e attualizzato al tasso del 3,5%. È evidente, dunque, che si tratta di una stima molto prudenziale. Oltre al terminal value vanno considerati i benefici occupazionali (15-27 mila posti), i risparmi a regime e il fatturato da opere civili. Per Telecom si tratta di un tema delicato, come è facile comprendere, visto che il 60% del personale della rete si occupa di una manutenzione che con lo switch off scomparirebbe (le stime parlano di 15-20 mila). E non è un caso che nella trattativa tra Telecom e Cdp-Metroweb ci sia sul tavolo anche la possibile migrazione di queste persone nella newco insieme all’asset rete (e una parte del debito).

La seconda parte dello studio di Gilardoni analizza poi l’effetto moltiplicativo che la Bul avrebbe sull’offerta di servizi di cui cloud, e-commerce, telelavoro, switch off della pubblica amministrazione e assistenza sanitaria remota, sono solo degli esempi. Il risultato (838) è compatibile con quello di altri studi nazionali e internazionali (progetto ISBUL 2010 e Cisco Get up to speed 2012). «Il risultato finale dello studio — giudica Roberto Sambuco, a capo del dipartimento Comunicazioni del ministero di Corrado Passera — è molto importante. Dà bene la misura di quanto noi oggi siamo all’ interno di una delle più grandi rivoluzioni della storia dell’ uomo. Abbiamo avuto, la ruota, la carta stampata, il motore a scoppio e adesso il digitale. Il nucleo di ogni politica industriale dovrebbe essere questo: ogni euro speso in un progetto di questo tipo, infrastruttura o servizio digitale, ne rende 10».

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