Frequenze tv, lo stop di Pier Silvio Berlusconi: “Asta sbagliata”

«Basta con le polemiche sulla presunta mancanza di concorrenza, basta giudicarci con la lente strumentale della politica, questa azienda è una realtà industriale leader nel suo settore e in un momento di crisi come questo andrebbe semmai salvaguardata, non indebolita». A dirlo, in un’intervista alla Stampa, è Pier Silvio Berlusconi, vicepresidente di Mediaset che afferma: «certo, anche Mediaset sente la crisi, ma stiamo facendo di tutto per superarla bene». Gli utili 2011 del Biscione sono in calo, la pubblicità è scesa, il titolo in Borsa ha perso metà del suo valore in un anno, ma Berlusconi jr. è ottimista: «siamo un’azienda solida e dinamica. Abbiamo avviato un profondo lavoro di efficienza – aggiunge – che ci porterà in un triennio a diminuire i costi di almeno 250 milioni l’anno. I primi effetti si vedranno nel 2012».

Ma il governo Monti accelera sulle liberalizzazioni, ed è forse pronto a proporre una gara onerosa sulle frequenze tv. Berlusconi jr osserva: «pensare a un’asta non solo sarebbe ingiusto e iniquo, perché in tutta Europa si è proceduto con assegnazione gratuita. Ma sarebbe anche non realistico: per il business televisivo il vero problema non sono le frequenze, ma i pesanti investimenti per creare contenuti competitivi di livello. Lo dice il mercato, non noi». Luca Ubaldeschi de La Stampa chiede allora a Berlusconi se sia il caso, in questo particolare periodo di sacrifici per tutti, che quelle frequenze vengano regalate: «intanto – risponde B. jr – fino a oggi tutte le frequenze, vecchie e nuove, Mediaset le ha pagate. E ogni anno versiamo decine di milioni di canone di concessione. E poi perché crede che Sky si sia ritirata da una gara gratuita? Di certo ha pesato il fatto che oggi investire sulla tv free, vista la quantità di canali e di concorrenza, è estremamente rischioso. Il punto è che come imprenditori tutti noi abbiamo bisogno di regole certe». Piersi però dimentica che Mediaset ha pagato molti anni fa solo 3 frequenze analogiche, e attraverso la Legge Gasparri (di un certo “governo di famiglia”) se n’è aggiudicate altre 3 in un sol colpo. Inoltre si scorda che il canone di concessione delle frequenze tv è tra i più bassi d’Europa (solo l’1% del fatturato), e il governo Monti sta pensando infatti di alzarlo.

Il vicepresidente di Mediaset dice poi che come clima nulla è cambiato nei confronti di Mediaset con il cambio di governo. «Da sempre si guarda a Mediaset con la lente distorta della politica. Capisco che tutto nasce da 17 anni di presenza in politica del nostro azionista, ma ora basta. Si valuti Mediaset per la grande impresa che è». In questi 17 anni, aggiunge, «mai avuto né regali, né favoritismi dal governo». Il giornalista de La Stampa chiede stupito: «e allora la Legge Gasparri? O l’aumento dell’Iva per la tv satellitare? O ancora, i contributi statali all’acquisto dei decoder per il digitale terrestre non sono stati aiuti?». B. jr ribatte: «guardi, l’aumento dell’Iva era per tutte le pay-tv, e ha colpito più Mediaset Premium che era in fase di start up, in concorrenza con il monopolista satellitare. Gli incentivi per i decoder erano a favore dei cittadini, obbligati per legge a cambiare tecnologia per guardare la tv». Ma la Corte di Giustizia europea UE ha condannato Mediaset al risarcimento di 220 milioni di euro

«La verità è che nel nostro Paese nel settore tv c’è tantissima concorrenza. Il mercato televisivo è già liberalizzato. – dichiara Pier Silvio B. – Ben venga la concorrenza, ma non deve essere creata in maniera dirigista snaturando le leggi di mercato». Mediaset ha però in mano, da tanto tempo, più del 62% della raccolta pubblicitaria (quasi 3 miliardi euro l’anno di ricavi) che con la controparte Rai blocca il mercato tv. E sull’ipotesi di una norma del governo che metta un tetto alla pubblicità, Berlusconi risponde: «Tetti restrittivi? In un momento in cui per lo sviluppo ovunque si invocano liberalizzazioni? In Italia regole che vincolano la pubblicità ci sono già e rispecchiano norme europee. Spezzettare il mercato artificialmente e solo per motivi politici indebolirebbe tantissimola tv italiana, sia come industria sia per ricchezza di offerta. Ecco, non danneggiamo un settore cruciale per l’economia e l’identità del Paese, un settore che produce informazione, cultura e posti di lavoro». Per Mediaset…

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