Asta LTE, l’impatto sull’economia e sul settore tlc

Da un articolo di Antonio Sassano, docente ordinario di ricerca operativa alla Sapienza di Roma e massimo esperto di frequenze, pubblicato su corrierecomunicazioni.it il 03/10/2011:

L’asta per le frequenze LTE, nella parte che riguardava le frequenze della banda 800 MHz, si è chiusa con un incasso certo di 3 miliardi di euro per il ministro Tremonti. Le frequenze ex-televisive sono state oggetto di una serrata serie di rilanci competitivi; l’asta ha infine rivelato un valore di 50 milioni di euro per MHz per la banda UHF.

Si tratta di un valore molto vicino a quello dell’asta tedesca (3.3 miliardi di euro) anche se sorprende il fatto che sia stato raggiunto in un Paese la cui economia è certamente meno forte di quella tedesca e nel quale le frequenze a gara sono ancora occupate dalle emittenti locali: sia quelle che trasmettono ancora in analogico che quelle alle quali il ministero dello Sviluppo economico ha assegnato, non più tardi del dicembre scorso, i diritti d’uso per trasmettere in digitale in tutto il Nord del Paese.

Il valore rivelato da una gara pubblica ci consente di esprimere alcune valutazioni oggettive. La prima osservazione è che se 9 canali della banda UHF valgono 3 miliardi di euro, i rimanenti 40 canali assegnati “in eredità analogico/digitale” alle televisioni (320 MHz) “valgono” 16 miliardi di euro. Questo non significa che le stesse frequenze messe all’asta per le televisioni avrebbero consentito allo Stato di incassare quella cifra. Significa invece che quello è il valore che gli operatori di telecomunicazioni attribuiscono a quella porzione di spettro. Insomma, lo Stato ha una sua proprietà per la quale qualcuno sarebbe disposto a pagare un “affitto” di 16 miliardi e che invece viene assegnata gratuitamente a qualcun altro.

I vincitori della gara hanno ora tutto il diritto ad una gestione dello spettro equa e non discriminatoria. E dunque: certezza nei tempi di liberazione dello spettro e certezza che le restanti frequenze della banda UHF verranno sempre assegnate attraverso processi di asta pubblica e non saranno oggetto di “trading” o di cambio di destinazione d’uso da parte di chi le ha ricevute senza pagare. In questa direzione dovrebbero essere estremamente precisi i vincoli imposti al “trading” (possibile tra 5 anni) delle frequenze assegnate agli operatori televisivi.

La seconda osservazione, legata alla prima, è che l’esito dell’asta ha rivelato che gli operatori Tlc considerano strategico il business della “banda larga mobile”, tanto da investire 3 miliardi di euro per acquisirne “input produttivi” di incerta utilizzabilità (almeno a breve termine). Certamente questa valutazione è legata alla rapida diffusione di apparati utente “affamati di banda” e all’esplosione del traffico Internet in mobilità. Tuttavia, è ragionevole immaginare che gli operatori Tlc attribuiscono alle reti wireless un ruolo di primissimo piano nella struttura (inevitabilmente ibrida) delle NGN prossime venture e ritengano (a ragione) che la transizione allo scenario NGN sarà un processo di trasformazione lungo e complesso nel quale le scelte sulla struttura delle rete di accesso e della “core network” dovranno essere continuamente aggiornate sulla base della disponibilità di risorse trasmissive e dell’evoluzione tecnologica.

In questo quadro, fermo restando il certo approdo a regime ad una struttura di rete FTTH (in fibra ottica), la wireless-NGN (LTE) oltre ad essere indispensabile per servire la crescente domanda di Mobile Broadband, sarà certamente competitiva con la xDSL nelle connessioni di ultimo miglio “difficili” e nelle aree a bassa densità abitativa.

La terza osservazione è che la gara si è tenuta in uno scenario di grande crisi economica e dunque avrà inevitabilmente un effetto sulle scelte di investimento degli operatori, con un rallentamento degli investimenti in rete fissa e una tendenza alla valorizzazione degli “input produttivi” spettrali acquisiti a caro prezzo.

Di questa forzata rimodulazione degli investimenti si dovrà tenere conto quando, nello spirito della segnalazione Agcom, Governo e Parlamento opteranno, auspicabilmente, per un utilizzo integrale dei maggiori incassi dell’asta ai fini di un sostegno mirato allo sviluppo della banda larga nel nostro Paese. Si tratta di cifre significative. Superiori al miliardo e mezzo di euro. C’è lo spazio per destinare risorse che evitino un bagno di sangue per le emittenti locali costrette a cedere frequenze che si erano viste assegnare solo pochi mesi addietro. È tuttavia necessario ascoltare il monito del presidente Agcom Calabrò ed utilizzare la maggior parte di quelle risorse per la banda larga ed evitare di trasformare la “industry” delle telecomunicazioni in una donatrice di sangue per settori che hanno bisogno più di un intervento di razionalizzazione e ottimizzazione dei costi che di nuove risorse a fondo perduto.

Al contrario, sarebbe molto positivo se, come suggerisce l’Agcom, le risorse aggiuntive fossero utilizzate per interventi massicci dal lato della domanda quali la diffusione degli strumenti e dell’alfabetizzazione informatica o il finanziamento di agevolazioni di medio-lungo periodo per l’attivazione di collegamenti a banda larga (fissa o mobile) per piccole e medie imprese (PMI), giovani e famiglie. Magari a partire da una riduzione dell’Iva.

Sul lato dell’offerta i finanziamenti dovrebbero essere orientati alla riduzione dei costi per la realizzazione degli investimenti in reti fisse e mobili che gli operatori hanno già pianificato e che le ingenti somme destinate all’asta potrebbero rallentare o vanificare. In questo senso tutte le diverse forme di coordinamento previste dall’Agenda Europea dovrebbero essere favorite e finanziate. A partire dal finanziamento di attività (volontarie) di coordinamento tra operatori ed enti locali (come quella tra gli operatori Tlc e la Regione Autonoma di Trento o la Regione Emilia Romagna), dalla realizzazione e gestione di un aggiornato catasto nazionale delle infrastrutture e dal coordinamento e facilitazione nella realizzazione delle opere civili e, in generale, delle infrastrutture passive da parte degli operatori.

Sarebbe infine utile individuare una serie di interventi nelle aree definite “bianche” e “grigie” dalla Commissione europea e destinati a ridurre il “digital divide” rendendo disponibile un accesso alla banda larga per famiglie e distretti industriali.

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