Il digital divide italiano penalizza le piccole-medie imprese

Da un articolo di Daniele Lepido su ilsole24ore.com del 04/05/2011:

La banda che non si allarga, Internet col singhiozzo e il collegamento desaparecido sono alcuni dei ritardi tecnologici del sistema Italia. Perché la rete latita non solo nelle aree “disabitate” dalle imprese ma anche, drammaticamente, nei distretti industriali: da Biella alla Riviera del Brenta, dalle bocche del fiume Sangro in Abruzzo passando per Puglia e Campania, il web non si può ancora considerare un’infrastruttura di base. In inglese si chiama digital divide e fa rima con i rallentamenti di un network poco efficiente, incapace di connettere chi produce in Italia agli universi che stanno oltre i patri confini.

Sul fronte della clientela privata, si stima che il caro vecchio rame targato Telecom Italia lasci a secco soprattutto gli italiani residenti nelle aree montane e rurali, dove in generale agli operatori non conviene firmare assegni in bianco – sono le così dette aree a fallimento di mercato – sostenendo investimenti salatissimi a fronte di una domanda troppo incerta per garantire le giuste marginalità.

Un dato certificato: l’ultimo rapporto sull’«Innovazione delle Regioni», pubblicato dal Cisis in febbraio, spiega che in Italia 8 milioni di persone sono escluse dal cyberspazio, cifra che scende a circa 5 milioni, quindi l’8-9% della popolazione, se si considera l’effetto “benefico” delle tecnologie wireless, la banda larga mobile via cellulare, comunque meno stabile di quella fissa. In questo senso Vodafone ha investito un miliardo per la copertura di mille Comuni italiani esclusi da internet, ma la banda garantita è solo da due mega mentre le aziende hanno bisogno di collegamenti più “robusti”.

Le aziende, appunto. Secondo quanto risulta al Sole 24 Ore, sui 156 distretti industriali del Belpaese, pari a circa 400mila realtà produttive, almeno il 10% è in digital divide, quindi 40-50mila aziende, con collegamenti totalmente assenti o comunque sotto i due megabit. E se è vero, come sostiene l’Agcom, che da noi il problema è più culturale che pratico – nel senso che in fondo Internet c’è ma la gente non lo usa – varrebbe la pena calcolare quante risorse andrebbero impiegate per mettere le ali ai computer degli imprenditori più lontani da Internet. Stando alle ultime analisi, per portare su tutto il territorio almeno 20 megabit di velocità sarebbero necessari circa 500 milioni, in un momento in cui i “famosi” 800 milioni previsti dal ministero dello Sviluppo economico si sono ridotti a 100 milioni.

Ma il paradosso è anche sul fronte della domanda – e su questo l’Agcom ha ragione – visto che qui gli imprenditori si dividono in due categorie diverse. Da un lato ci sono le imprese affamate di connessione, certe che l’utilizzo della rete sia una leva indispensabile per stare sul mercato e soprattutto per starci bene. Dall’altro le indifferenti, certificate pure da uno (sconvolgente) studio di Confindustria del 2010, che spiega come su 100 imprenditori ben 61 si professino «non interessati alla banda larga». Possibile? Eppure dal Nord al Sud, il destino della broadband è appeso al filo del buon senso e della caparbietà di quegli altri imprenditori, quelli convinti che internet sia uno strumento indispensabile.

E c’è anche qualche storia a lieto fine, non senza la complicità di un pizzico di fortuna: «Nel distretto di Molfetta-Bari abbiamo ottenuto una buona quantità di banda solo perché sono arrivati di colpo un outlet e un grosso centro commerciale – spiega Domenico Favuzzi, amministratore delegato di Exprivia, gruppo quotato in Borsa specializzato in soluzioni tecnologiche – altrimenti forse adesso saremmo ancora lì ad aspettare. Diciamo che fino al 2007 è stato un disastro, poi le cose sono migliorate, anche se si dovrà lavorare ancora».

Dalla Puglia al Biellese, dove non solo il distretto dell’industria tessile, in particolare le Valli Mosso e Cervo, è a secco di collegamenti, ma anche chi lavora nella logistica come Christian Ferrari della Mulicar di Gaglianico: «La linea più stabile che riesco ad avere è di 2 megabit – racconta il signor Ferrari – e pensare che dalle nostre parti la fibra ottica è arrivata molti anni fa con la dorsale di Fastweb pensata per servire Banca Sella. Il problema è che per attaccarsi a questa dorsale i costi sono troppo elevati e le aziende più piccole non riescono a sostenere l’investimento».

Eppure qualcosa si muove perché le Regioni stanno investendo – tagli tremontiani permettendo – proprio per portare Internet un po’ dappertutto. Anche se, come spiega Ennio Lucarelli, vicepresidente vicario di Confindustria servizi innovativi, «a volte non si riescono a individuare con chiarezza le priorità e allora capita che s’investa dove c’è meno bisogno. E viceversa».

Una buona notizia arriva dalla Lombardia, di certo la Regione più ricca d’Italia, tuttavia con nicchie impensabili di digital divide, soprattutto nelle aree montane ma non solo (si pensi al Gallaratese). Il Pirellone ha appena siglato un maxi-accordo con Telecom Italia per investire 95 milioni in due anni per cablare 707 Comuni (su quasi 1.600; si veda il Sole 24 Ore di ieri). Un investimento coperto per 41 milioni da fondi pubblici – dei veri e propri aiuti di Stato autorizzati da Bruxelles – mentre la parte rimanente sarà investita da Telecom.

E nelle altre Regioni? Il piano complessivo d’investimenti di Infratel al giugno 2012 prevede fondi per quasi 382 milioni per 1.474 nuove centrali e 8.529 chilometri di fibra ottica. Con il Trentino che fa caso a sé, ma qui si parla di tutt’altra partita, ovvero della nascita di una rete superveloce da 100 megabit – il famoso Next Generation Network – dove la quadra è stata trovata sempre tra l’ex monopolista e la Provincia autonoma di Trento per la costituzione di una newco nella quale far confluire le infrastrutture passive con accesso aperto, almeno sulla carta, a tutti gli altri operatori (si veda il Sole 24 Ore del 9 febbraio).

Ma le magagne rimangono, nonostante i moniti europei della battagliera Neelie Kroes, vicepresidente della Commissione europea e responsabile per l’Agenda digitale, che già l’anno scorso ammoniva: «La velocità della banda larga è ossigeno per le comunicazioni digitali, essenziale per la prosperità e il benessere dell’Europa». Vallo a spiegare a Fabio Moro, del Pastificio di Chiavenna in Valtellina. Lui il collegamento ce l’ha solo quando la metereologia lo permette: «Con il temporale si blocca tutto, le centraline saltano che è un piacere facendo spegnere internet». E senza banda larga, allora addio pure ai pizzoccheri.

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