Libero software in libero Stato (2)

Da un articolo di Alessio Jacona su L’Espresso n.7 16 febbraio 2012 (parte 2):

La digitalizzazione dello Stato promessa dal governo Monti passa dal software libero?

Quello sul software libero insomma è un investimento e quindi per risparmiare domani servono soldi subito, che i responsabili della Pa – in questa fase di crisi – non sanno dove trovare. Un discorso simile a quello che riguarda l’auspicata sparizione della carta, anch’essa prevista dal decreto sulle semplificazioni. A riguardo, Belisario ricorda che in Italia è dal ’99 che si parla di digitalizzazione senza concludere molto: «Ad esempio, sono quasi tre anni che ci portiamo dietro la questione della fatturazione digitale», spiega, «che però non decolla. Anche se, secondo la più prudente delle stime, farebbe risparmiare al Paese 10 miliardi di euro l’anno (3 solo per la pubblica amministrazione)». E così si teme che il passaggio al software libero faccia una fine simile. Anche perché le difficoltà non mancano.

Dice ad esempio Elio Gullo, direttore dei sistemi informativi per Enpals-Inps: «Nel nostro contesto ogni malfunzionamento può risultare in una interruzione di pubblico servizio con gravi ricadute e disagi per l’utenza», spiega. «Come direttore dei sistemi informativi, se qualcosa va storto devo potermi confrontare con un mio pari grado del lato fornitore che risolva il problema e risponda eventualmente dei danni. Se il mio fornitore sono 10 mila sviluppatori sparsi per il mondo, con chi dovrei parlare? Pagare le licenze insomma significa anche comprare garanzie».

Una soluzione ci sarebbe: spiega ancora Nicotra che, «se la Pa stessa si riorganizzasse e mettesse a sistema le competenze delle proprie aziende in-house, potrebbe diventare essa stessa una community di sviluppatori e avere la forza necessaria a garantire affidabilità e continuità dei servizi, interagendo al contempo con le community esterne per creare di fatto un nuovo ecosistema». Un’ipotesi affascinante, ma forse un’utopia in un Paese come il nostro dove, ricorda ancora Gullo, «i due grandi produttori di software della Pa, Consip e Sogei, afferiscono a divisioni diverse del ministero delle Finanze e, al momento non parlano tra loro. Figuriamoci se possono collaborare e fare sistema assieme».

Un peccato, perché l’open source non è solo una faccenda di tasche piene o vuote, ma di lungimiranza e di etica: per Renzo Davoli, presidente dell’Associazione italiana software libero (Assoli), «lo scopo primario di una pubblica amministrazione è erogare servizi efficienti ai cittadini con costi quanto più contenuti possibile, senza per questo dover sottostare ai ricatti e farsi carico dei costi occulti che sono propri dei software proprietari». Scegliere il software aperto, anche quando i costi di adozione risultano uguali a soluzioni proprietarie, alla lunga avrebbe, secondo Davoli, ricadute importanti per lo Stato: così facendo, «le nostre amministrazioni eviterebbero di farsi vincolare da soluzioni con alti costi di uscita e smetterebbero di investire in prodotti le cui ricadute fiscali sono fuori dall’Italia, di fatto favorendo la creazione di ricchezza per le aziende del nostro Paese».

Dato un quadro così complesso, forse ciò di cui c’è davvero bisogno è, come sottolinea Carlo Iantorno, National Technology Officer di Microsoft Italia, «un mercato che sia il più aperto possibile, nel quale prosperino i due modelli, quello del software proprietario e quello del software libero, convivano e siano a disposizione della Pa. Quest’ultima », aggiunge, «deve poi essere in grado di scegliere di volta in volta la soluzione più adatta alle proprie esigenze ». E prima ancora che scegliere il software, conclude Iantorno, «bisogna fare passi avanti importanti a livello di sistema, razionalizzando le risorse tecnologiche e quelle umane che le gestiscono, liberando i dati e rafforzando la cooperazione tra pubblico e privato, per incentivare un mercato sempre più libero, diversificato e competitivo». Una bella sfida. E per vincerla non basta di certo un decreto del governo.

Torna all’inizio dell’articolo – Prima Parte: Libero software in libero Stato (1)

2 thoughts on “Libero software in libero Stato (2)

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