Digitale terrestre Ravenna: il Tar respinge la class action contro la Rai

Ravenna – Uno a zero per la Rai. I giudici del Tar del Lazio hanno respinto la class action, promossa l’autunno scorso dall’avvocato Andrea Maestri, che ha raccolto 123 sostenitori abbonati Rai e l’unione di Cittadinanzattiva  che protestano per i disservizi del segnale del servizio pubblico a Ravenna. Gli utenti chiedevano il rimborso del canone e il risarcimento del danno. Ma per il tribunale amministrativo non ci sono i motivi giuridici per accettare il ricorso.

«La partita di andata è finita così ma abbiamo giocato bene, non sono mancati errori arbitrali e comunque ci attende la partita di ritorno. E sarà ancora battaglia», commenta l’avvocato. Nel dettaglio, spiega Maestri, con sentenza n. 8288 del 16.09.2013, dopo 2 mesi dall’udienza pubblica del 18 luglio, il TAR del Lazio in parte respinge ed in parte dichiara inammissibile il ricorso proposto da 123 ravennati e dall’associazione di consumatori Cittadinanzattiva Emilia-Romagna.

Maestri commenta così la sentenza: «Dal punto di vista processuale abbiamo superato le eccezioni preliminari sollevate dagli avvocati della Rai che con quelle eccezioni intendevano sbarrarci subito la strada e questo è motivo di grande soddisfazione: su questi punti questa decisione del Tar farà giurisprudenza». Nel merito, però, il Tar ha aderito alla tesi della Rai: gli utenti che non ricevono il segnale sono pochi, è coperto il 99,6% della popolazione e quindi si suppone «che gli utenti non abbiano ben posizionato le antenne. Quella percentuale, però, è un dato che è stato estrapolato da Rai Way. Elemento che Maestri non manca di segnalare: «Avevamo richiesto una perizia tecnica ma non è stata disposta». Insomma, per dare ragione alla Rai il Tar si è basato sui dati che questa ha fornito.

«Si aprono spiragli sull’azione risarcitoria ma vi è chiusura totale e nessun ripensamento sulla natura giuridica del canone di abbonamento al servizio pubblico radiotelevisivo: è un tributo, va pagato e non obbliga la Rai a garantire l’effettività del servizio, e quindi per un verso è da escludere che l’utente possa pretendere la restituzione del canone per un (preteso) disservizio. Un principio oggi inaccettabile come è inaccettabile il dislivello tra pubblici poteri e cittadini, trattati ancora come sudditi e non come titolari di diritti individuali e collettivi».

«Davanti ai ricorrenti ora ci sono tre opzioni: fermare qui la giostra; fare appello al Consiglio di Stato o promuovere una class action nazionale insieme ad un’associazione di consumatori, che potrebbe essere Cittadinanzattiva. Vediamo quanti siamo e quante forze abbiamo, ben sapendo che dall’altra parte abbiamo un potere forte per antonomasia».

Aggiornamento 18/09/2013:

Secondo l’avv. Maestri ci sono almeno 4 punti decisamente a favore della difesa dei cittadini che hanno promosso la class action.

1) “Il TAR ha respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata adozione dei decreti attuativi del D.Lgs. 198/2009 sulla class action, eccezione formulata dagli avvocati della Rai per sbarrare subito la strada alla nostra iniziativa: ‘nel caso di specie, come correttamente osservato da parte ricorrente, non occorre attendere l’adozione dei decreti attuativi perché il legislatore, con l’art. 45 d.lgs. 177/2005, ha già compiutamente delineato l’obbligo a carico della p.a’. Si tratta di un punto molto importante, destinato a fare giurisprudenza, perché chiarisce che la class action è un rimedio che può essere utilizzato senza aspettare l’emanazione dei decreti attuativi in tutti i casi in cui il comportamento esigibile dalla P.A. sia già chiaramente individuato dalla normativa.

2) Il TAR ha altrettanto decisamente respinto l’ulteriore eccezione di inammissibilità del ricorso per “mancata inerzia” della Rai, dicendo che i ricorrenti non avevano affatto (come invece sostenevano erroneamente gli avvocati della Rai) l’obbligo di impugnare la nota con cui la Rai, rispondendo alla diffida degli utenti, negava gli addebiti, poiché detta nota ‘non può essere considerata alla stregua di un provvedimento lesivo, dunque da impugnare con l’azione di annullamento; è piuttosto una nota puramente informativa, priva di contenuto lesivo. Né si può sostenere che essa faccia venir meno il presunto disservizio; è piuttosto una comunicazione con cui la Rai nega che il disservizio esista‘. Si tratta di un altro punto significativo, anch’esso destinato a fare giurisprudenza, poiché chiarisce la specificità della class action rispetto all’ordinario giudizio di impugnazione di atti e provvedimenti.

3) Il TAR non dice che la domanda di risarcimento del danno è inammissibile ma dice che è inammissibile all’interno della class action, ma una simile domanda può essere proposta ‘con il rito ordinario: in questo modo, il TAR lascia intravvedere la possibilità di un’azione ordinaria risarcitoria individuale e/o collettiva, al di fuori della class action che invece può solo intervenire in ordine al ripristino della qualità di un servizio pubblico.

4) Il TAR riconosce la ‘complessità e la ‘peculiarità della questione affrontata, compensando interamente tra le parti le spese del giudizio.

Insomma, «il punto più debole della motivazione della sentenza sembra essere quello che riconosce efficacia probatoria ai documenti e alle affermazioni di una delle due parti del giudizio, senza disporre una consulenza tecnica che confermasse l’entità dei disservizi lamentati dagli utenti. Appare dunque censurabile che ai dati, ai documenti e alle allegazioni degli utenti del servizio pubblico radiotelevisivo sia riconosciuta una valenza processuale minore rispetto a quella riconosciuta alla controparte pubblica. Come appare discutibile che possa costituire un’argomentazione giuridica fondata quella di affermare che gli utenti colpiti dal disservizio sono una minoranza rispetto alla maggioranza che recepisce correttamente il segnale tv, per negare tutela a quegli utenti-cittadini-consumatori che, come gli altri, pagano il canone».

«Da ultimo, continuare ad affermare che la natura tributaria del canone impedisca di porre in capo alla Rai, concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, un qualsiasi obbligo di assicurare effettivamente il servizio, sembra la ripetizione di un refrain datato e oggi inaccettabile ed indifendibile di fronte al nuovo protagonismo dei diritti individuali e collettivi posti come argine al potere e all’arbitrio del settore pubblico. Sapevamo che sarebbe stata una singolar tenzone e ci sentivamo come Davide contro Golia ma da questa sentenza oggi possiamo trarre argomenti di incoraggiamento per continuare la battaglia, per andare fino in fondo, impugnando questa sentenza di primo grado davanti al Consiglio di Stato».

«Certo, lottiamo a mani nude contro un vero e proprio ‘potere forte, non è stato facile e non sarà facile. Un’alternativa possibile ma assai complicata per le nostre sole forze sarebbe mettere insieme tutte le ‘vittime” del disservizio e fare una class action nazionale, visto che quando del caso se ne è occupata prima Repubblica, poi la Stampa poi il Resto del Carlino a livello nazionale, sono piovute adesioni da tutta Italia».

Fonte: romagnanoi.it | ravenna24ore.it

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