Mediaset alla caccia del quinto multiplex del digitale terrestre

Al di là della gara (impossibile) per le frequenze tv, il Biscione vuole mettere le mani sul quinto multiplex per il digitale terrestre. Una frequenza che in realtà già sfrutta ma solo in tecnica DVB-H, quella per la tv mobile ormai desueta, che ora si vorrebbe convertire ad uso televisivo.

Elettronica Industriale, la società del gruppo che si occupa delle reti di trasmissione, ha infatti chiesto a febbraio al Ministero dello sviluppo economico, all’Agcom e all’Antitrust di poter modificare il suddetto multiplex in DVB-T, lo stadandard per la tv digitale terrestre. Lo si può leggere nella relazione sulla gestione del 2012.

Ora Mediaset attende le tre pronunce. Se i responsi saranno positivi, il gruppo televisivo della famiglia Berlusconi avrà la possibilità di tagliare almeno parte dei costi di trasmissione dei suoi canali attualmente trasportati su frequenze di terzi e magari potrà anche lanciare nuove versioni di reti ad alta definizione. Ma la strada potrebbe non essere così semplice: la destinazione DVB-H di questo multiplex (chiamato Mediaset 3) fu infatti vincolata nel 2006 dall’Antitrust per evitare che Mediaset raggiungesse una posizione dominante (aveva tre reti analogiche e due digitali).

Uno spiraglio, però, potrebbe venire da un precedente importante: il Tar del Lazio ha infatti dato ragione a 3 Italia che aveva chiesto al Ministero e all’Agcom di convertire la propria rete DVB-H e che si era vista respingere l’istanza. Il risultato è che oggi l’operatore telefonico può trasmettere sul Dtt e, anzi, paradossalmente affitta al gruppo di Cologno Monzese parte del suo mux, per Rete 4 Hd e Italia 1 Hd. Gina Nieri, il responsabile degli affari istituzionali di Mediaset, lo aveva detto già a maggio dell’anno scorso: ««Effettueremo la richiesta per la conversione delle frequenze DVB-H per la tv sui telefonini nel momento in cui ci farà comodo». Evidentemente questo è il momento.

Due sono gli elementi che hanno spinto in questa direzione. Il primo è la gara per l’assegnazione delle nuove frequenze, nell’attuale versione non più favorevole ai grandi broadcaster che prima avevano assicurata almeno una rete e gratis. Tra l’altro nella relazione del 2012 si dice che il gruppo «valuterà l’opportunità di proseguire il contenzioso già avviato con l’impugnazione della sospensione e successivo annullamento del beauty contest», facendo intendere che questo potrebbe essere un capitolo chiuso. Il secondo motivo della richiesta di conversione è meramente economico.

Mediaset affitta banda trasmissiva da terzi per 11 dei suoi canali: cinque sono sul mux DFree di Tarak Ben Ammar, due su quello di Telecom Italia Media, 2 su Rete A (gruppo Espresso), due su quello di 3 Italia. Considerando che sul mercato si parla di circa 5 milioni di euro all’anno a canale per l’affitto di banda (ma qui la contrattazione ha un suo peso) il risparmio sarebbe evidente, soprattutto dopo un bilancio con 287 milioni di perdita. La conversione, come detto, è riuscita a 3 Italia, nonostante il diniego di Ministero e Agcom del dicembre 2011 dopo una prima autorizzazione provvisoria pochi mesi prima. Il Tar con la sentenza depositata lo scorso 23 gennaio ha ritenuto che l’autorizzazione di 3 fosse adatta a trasmettere sia nella defunta DVB-H che in DVB-T e che in Italia valesse il principio di neutralità tecnologica stabilito dall’Unione europea. Dopotutto questa rete nasceva proprio come DVB-T, ma 3 ne chiese l’utilizzo come DVB-H dopo averla acquistata da Raimondo Lagostena nel 2005.

Il principio di neutralità tecnologica dovrebbe quindi valere anche per Mediaset. In questo caso però bisogna vedere se le autorità vorranno eliminare il vincolo imposto dall’Antitrust nel 2006, quando Elettronica Industriale acquistò la rete appartenente a Europa tv, la seconda posseduta ai tempi da Ben Ammar. Le condizioni erano infatti che Mediaset, come nei piani della società, trasmettesse sul mux in DVB-H, che affittasse a terzi (Telecom e Vodafone erano pronte) e che non raccogliesse pubblicità per questi canali.

Ora la valutazione Antitrust sarà tutta da rifare, considerato che non esiste in Italia una norma che ponga un limite ai mux posseduti. In giro c’è poi un altro mux del DVB-H. È quello Rai, in realtà oggi usato principalmente per aumentare la copertura degli altri mux in alcune zone del paese e poco per il digitale terrestre di seconda generazione (DVB-T2).

Fonte: ItaliaOggi

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