Privacy. Stallman: “Siamo prigionieri della Rete” (1)

Per Richard Stallman, guru del software libero, condividere se stessi su social network, motori di ricerca e tablet è infilarsi volontariamente in una galera dorata, senza sbarre ma totale.

Se Pico della Mirandola avesse conosciuto Richard Stallman, oltre alla libertà tra scegliere di essere angeli o bruti, probabilmente avrebbe aggiunto una terza opzione: usare il software libero. Per Richard Stallman, fondatore della Free Software Foundation e padre di GNU, che insieme al kernel Linux forma GNU-Linux, è l’unica scelta etica, l’unica che ti rende libero da quella che chiama «colonizzazione digitale».

Con Stallman non parlate di Open Source (tradotto in italiano codice sorgente aperto), un’espressione che detesta da quando fu proposta da Christine Peterson presidente di un’azienda specializzata in nanotecnologie, ufficializzata da Eric S. Raymond al lancio di Mozilla, e adottata da una parte del mondo hacker (sull’argomento “Codice libero – Richard Stallman e la crociata per il software libero” di Sam Williams). Stallman ormai è un globe trotter per la libertà digitale, catechizza gli utenti, convince i governi ad adottare piattaforme libere. A breve potrebbe farlo anche il Comune di Genova. E Alessandro Fava de il Manifesto ha intervistato Stallman dopo una conferenza a palazzo Tursi organizzata dalla Lista Doria e da Lanterna digitale libera (LDL).

Stallman è l’uomo simbolo di trent’anni di battaglie per la libertà di utilizzo di software libero. Trent’anni contro il controllo dei software privato sui computer degli utenti. «Sono soddisfatto di quello che ho fatto della mia vita. – risponde Stallman alla prima domanda di Fava – Ma non abbiamo ancora vinto. Non è questione di conquiste personali. Ci sono problemi oggettivi che cerchiamo ancora di correggere. Anche se abbiamo fatto molta strada, ne manca ancora tanta per eliminare i software proprietari».

La crisi economica potrebbe convincere le amministrazioni pubbliche, anche per ragioni di budget, ad adottare il software libero e gratuito. Ma secondo Stallman l’introduzione del Free Software «non è una questione economica. È qualcosa di più importante: è una questione di libertà. Magari Genova deciderà di adottare il software libero. Ma i proprietari di software hanno molti soldi e li usano per essere sempre più influenti. Ad esempio Microsoft o Apple dicono: apriamo un centro di ricerca nella vostra regione e spendiamo milioni di euro ogni anno. Possono comprare in questo modo parecchie amministrazioni. Tanti governi hanno un’idea così debole della loro missione che se arriva uno che offre soldi e investimenti, gli fanno fare quello che vuole. Nel 2005, quando la Ue stava pensando a una direttiva per permettere i brevetti dei software, la Danimarca era contro. La Microsoft ha comprato una piccola compagnia informatica danese con 3-4 mila dipendenti, ha mandato una lettera al primo ministro dicendo che avrebbero chiuso la compagnia se il paese non appoggiava la direttiva. E così è stato».

«Invece ogni volta che un’amministrazione pubblica rinuncia ad usare un software libero, diventa attaccabile e viene meno ai suoi doveri verso i cittadini perché rinuncia alla sua sovranità digitale. Basta pensare agli aerei israeliani che scomparirono dai radar dei servizi siriani quando fu attaccata la centrale nucleare perché – sono gli ufficiali del Pentagono a dirlo – probabilmente Israele inserì delle backdoor nel software dei radar siriani. Oppure pensiamo agli attacchi Usa ai computer venezuelani nel 2003 quando il governo di Chavez decise di nazionalizzare la compagnia petrolifera».

Pensa che la rivoluzione digitale possa partire dal basso? E da dove si inizia? (chiede Fava). «Penso che si debba partire dalle scuole. Le scuole dovrebbero insegnare solo su software libero per educare la gente alla libertà, alla collaborazione e alla condivisione dei saperi. La questione non è rendere l’educazione migliore, ma scegliere tra un buon sistema scolastico o un cattivo istema scolastico. La scuola non dovrebbe insegnare la dipendenza ma lo sviluppo delle capacità e dell’energia. Quindi dovrebbero diplomare persone in grado di usare software liberi per creare una società libera. Ma ci sono aziende come Microsoft che regalano copie dei loro software alle scuole. Fanno come gli spacciatori che all’inizio regalano una dose. E creano dei dipendenti. Le scuole dovrebbero rifiutare. Le università anche, a partire dal Politecnico di Torino dove grazie all’attuale rettore Gigli e all’avvallo del rettore precedente Profumo (l’attuale ministro) c’è persino un centro Microsoft.

Cosa intede per sistema colonizzato e colonizzazione digitale? «Un sistema coloniale tiene i colonizzati divisi e impotenti. –  afferma il guru del Free Software – Così i software proprietari mantengono i fruitori impotenti. Un sistema coloniale deindustrializza, di solito, i popoli che controlla. Il software privativo ti rende incapace di qualsiasi modifica, in pratica sei blindato in quello che è stato deciso dall’alto per te. Non è un paese che viene colonizzato in questo caso, è una società, ma penso che ci siano delle somiglianze. Per questo parlo di “sistema coloniale“».

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Fonte: Il Manifesto

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