Fumata nera per il Calendario degli Switch-off 2011 del digitale terrestre. Ma c’è una proposta

Il Comitato Nazionale Italia Digitale ha rinviato (ancora una volta) di ben 15 giorni la definizione ufficiale del Calendario degli Switch-off del digitale terrestre per il 2011 e per il prossimo 2012.

Troppo ampia permane la distanza tra le posizioni delle associazioni delle tv locali (penalizzate dal passaggio con ben 9 frequenze in meno) e di  alcune regioni schierate in difesa delle emittenti regionali, che da parte loro vorrebbero ritardare gli Switch-off e ottenere una parte di questi canali, e quelle delle tv nazionali e del governo che invece vorrebbero anticipare la transizione digitale per utilizzare proprio questi 9 canali per una fruttuosa asta pubblica per la banda larga mobile tra le società delle telecomunicazioni.

Marco Rossignoli (coordinatore di Aeranti-Corallo), all’uscita della riunione fiume del CNID svoltasi oggi, afferma che ancora non è stato definito nessun calendario ufficiale per gli Switch-off del 2011/12. «Nel corso della riunione Aeranti-Corallo, associazione che rappresenta 320 emittenti regionali, ha evidenziato che la riduzione delle frequenze originariamente previste per le tv locali dal piano nazionale di assegnazione, da 27 a 18, non permette in alcun modo di procedere agli Switch-off nelle aree ancora da digitalizzare. – dichiara Rossignoli – Infatti con tale esiguo numero di frequenze, non è assolutamente possibile che tutte le tv locali delle aree ancora da digitalizzare ricevano le assegnazioni frequenziali e divengano operatori di rete. In particolare il numero di 18 frequenze è assolutamente insufficiente nelle Regioni Toscana, Puglia, Calabria, Sicilia e Abruzzo e, comunque, sussistono rilevanti difficoltà anche nelle altre regioni in relazione alle esigenze di coordinamento tecnico con le trasmissioni televisive digitali dei paesi esteri confinanti».

Il Ministro dello sviluppo economico Romani comunque ha pubblicato sul sito del Ministero una proposta per un nuovo Calendario Nazionale per il completamento del passaggio alla televisione digitale, che dovrà essere ridiscussa probabilmente il 17 marzo nella nuova riunione del CNID, che prevede un anticipo di sei mesi rispetto alla data ultima oggi prevista di fine 2012. La proposta è così articolata:

  • 2° semestre 2011: Liguria, Toscana, provincia di Viterbo, Umbria, Marche, Abruzzo, Molise, provincia di Foggia;
  • 1° semestre 2012: Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia.

14 thoughts on “Fumata nera per il Calendario degli Switch-off 2011 del digitale terrestre. Ma c’è una proposta

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  2. Qui dovrebbero muoversi le varie associazioni in difesa dei consumatori, perchè visto che le tv locali ( se così le vogliamo chiamare visto che di tv non hanno nulla e aggiungo che alcune sono davvero ridicole) giustamente o ingiustamente reclamano e hanno avuto l’eternità per farlo e non in dirittura d’arrivo, dovrebbero farlo anche loro in difesa dei cittadini. Lo fanno per delle cose minori, spesso non d’interesse collettivo, non capisco il perchè non possano farlo per un diritto che veramente garantisce il pluralismo nazionale in tutti sensi e non quel mero e sconcio notiziario di pochi minuti bombardato di pubblicità. Siamo entrambi dalla parte del diritto.

    1. Ciao Nosky69,
      la transizione al digitale terrestre italiana è nata male e continua a proseguire in modo assurdo sicuramente non per colpa delle tv locali (basta fare un piccolo confronto con ciò che accade in Spagna o in Francia ad esempio). La disorganizzazione nelle varie fasi del passaggio regna sovrana dal 2006, costruita ad hoc per l’introduzione trionfale del business del Berlu nel dtt, quando iniziarono le sperimentazioni in Sardegna. Ma quasi tutto l’impegno, tutta la tecnologia, le risorse, centinaia di miliioni di euro pubblici e l’esperienza utilizzate nei lavori di Switch-off e Switch-over sono state impiegate dalla Rai e dai suoi asset fondamentali come Rai Way. Un’azienda pubblica condotta negli anni a una crisi economica senza precedenti, che sta facendo il possibile per portare avanti il passaggio, pur non avendo tutti i mezzi e i finanziamenti, e che ora qualche dirigente corrotto (gli uomini del premium) crede di salvare con un piano industriale scellerato atto a smembrare parti fondamentali del servizio pubblico radio televisivo.
      In questo contesto, come già accaduto per lo Switch-off del nord Italia, le tv locali cercano solamente di sopravvivere, in questo gioco a “prendi le frequenze e scappa” nato dalla legge Gasparri del 2004. Non è colpa delle emittenti regionali se le tv nazionali (Rai, Mediaset, TI Media) si sono spartite anni fa tutte le frequenze in modo assurdo, in un dividendo interno pesantemente criticato dall’UE, che infatti ha imposto all’Italia la gara per i multiplex (poi tramutata dagli uomini del premium in concorso di bellezza), pena pesanti sanzioni (tanto per far memoria esiste una variegata collezione di sanzioni comunitarie accumulate dalle gesta del governo nel campo televisivo).
      Le stesse tv locali, che oggi rivendicano il diritto di esistere, in molte regioni sono indubbiamente una ricchezza per il pluralismo informativo, per il patrimonio culturale della regione, e anche per far girare l’economia locale. Anzi in molti casi offrono dei contenuti di qualità (con pochi mezzi) spesso superiori a quello schifo generalizzato che le tv nazionali (soprattutto quelle generaliste) trasmettono da troppi anni. Forse ora sono troppe in un mercato che si è espanso così velocemente, ma questo non giustifica le azioni del governo che affossano ogni pretesa di esistenza dell’emittenza privata regionale.
      Certo è innegabile che alcuni impreditori delle emittenti locali abbiano cercato di fare i furbi, accaparrandosi alcune frequenze per metterle in affitto in modo esclusivamente speculativo. Ma le regole sulla transizione al dtt, sul dividendo digitale, sulla impossibilità di affitto dei canali a network nazionali, sulla numerazione LCN, sull’esproprio delle frequenze per l’asta per la banda larga, dettate dal Ministero e da Romani (uno degli uomini del premium) hanno come obiettivo quello di favorire l’accumulo indiscriminato di canali da parte di una certa azienda di Cologno Monzese (cercando nel frattempo di boicottare anche il concorrente Sky), e trascurano e snobbano pesantemente tutto il comparto delle televisioni locali. Pensa che nei corridoi degli uffici Mediaset, da fonti sicure, il pensiero comune è “tanto chiuderanno tutte”…
      Quest’azione del governo, dell’Agcom e di DGTVi porterà indubbiamente dei grossi problemi prima, dopo e durante il passaggio al dtt nei prossimi Switch-off (che tra le altre cose hanno tutti subito dei ritardi rispetto al calendario originale). La protesta delle associazioni delle tv locali, rappresentata non solo da Aeranti-Corallo, ma anche da Federazione Radio Telelevisioni e dal Comitato Radio Tv Locali è pienamente leggittima. Almeno in Italia c’è qualcuno che cerca di ostacolare questa ignobile spartizione. Una divisione di risorse frequenziali tra i più forti che intanto la Commisione europea sorveglia con attenzione, in attesa di nuove sanzioni…
      Ah dimenticavo, Aeranti-Corallo è un’associazione che rappresenta 529 radio, 320 tv locali indipendenti e 5 syndacation, aderente a Confcommercio, costituita da imprese con 6000 dipendenti e 10 mila collaborati dell’indotto. In pratica rappresenta un’industria e non è di sinistra…

  3. Quezal quello che dici è giusto. Fai una cernita di tutte le emittenti locali e cerca quelle che effettivamente si possono chiamare Tv. Io ho 42 anni e ti posso dire, scusami se pecco di presunzione, che la maggior parte e mi posso riferire a Sicilia e Marche, potrebbero consoziarsi tranquillamente. Ognuno di loro vuole autonomia senza forze e non intendo solo quelle economiche. Non dico che Aeranti-Corallo stiano sbagliando pero’ vista la presa di posizione, mettiti nei panni degli utenti che non usufruiscono di un servizio o che non ne possono usufruire. Di tempo ne hanno avuto e a questo punto dico che il processo di digitalizzazione non sarebbe dovuto iniziare assolutamente! Ciao!

    1. Il consorzio tra le tv locali era necessario anche prima del passaggio al dtt per evidenti problemi di crisi economica. E molte emittenti (almeno quelle più grosse, con più audience e risorse) hanno già stretto delle syndacation da nord a sud e hanno già stipulato dei contratti con Sky per mantenere un certo livello di ricavi, che col digitale terrestre e la frammentazione degli ascolti stava costantemente diminuendo.
      Ma il governo pretende che queste tv non solo si uniscano in nuove forme giuridiche di società in tempi strettissimi, ma che si raggruppino tecnicamente nelle medesime frequenze in modo da trasmettere sui canali all’interno dei pochi mux che saranno a disposizione. Capisci che è una soluzione improbabile e forzata, e difficilmente realizzabile in poco tempo, che inoltre, come hai detto tu prima, priva di autonomia le imprese delle tv locali.
      Le logiche e le strategie del governo sul passaggio al dtt hanno discriminato tutto questo comparto, non prendendolo praticamente in considerazione, e arrivando in fine alla rottura totale con le associazioni delle emittenti regionali.
      Per quanto concerne la mancanza del servizio della tv digitale nelle regioni ancora non passate al dtt, da consumatore puoi protestare per il servizio pubblico, in quanto paghi l’imposta del canone, ma difficilmente puoi pretendere qualcosa come telespettatore delle tv private. Inoltre quando alla fine arriverà lo Switch-off dalle tue parti (il termine ultimo obbligatorio per l’UE comunque è il 31 dicembre 2012), ti accorgerai quanti troppi problemi porterà il passaggio (che ogni volta si esegue frettolosamente e con un’organizzazione dell’ultimo minuto) e quanto per troppo tempo dovrai rinunciare ai tuoi programmi preferiti (ti auguro logicamente che non accada, ma fino ad oggi si è verficato in tutte le regioni).
      Ciao

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